A Casa della Nonna – Albo illustrato

Alice Melvin“A casa della nonna” di Alice Melvin è un albo dal tipico sapore inglese e deve il suo fascino non tanto alla storia che racconta, quasi del tutto assente, ma alle sue belle illustrazioni: calde, minuziose e raffinate. Tutto quello che il testo non dice ci è reso noto dalle immagini, perfino l’affetto che la bambina prova per la sua cara nonna. Un affetto che si palesa nella descrizione di piccole cose: la scatola dei biscotti, la nuvola del borotalco, i vecchi giocattoli in soffitta, la statuina di porcellana per il latte, la pendola in salotto, la sedia a dondolo…

L’albo di Alice Melvin è in effetti intessuto non di parole, ma di suoni e profumi, ed è la qualità dei dettagli a raccontarci la vera storia di “A casa della nonna”, ovvero la storia che ognuno di noi conserva di un luogo amato. La suggestione che questo libro esercita sul lettore non è da ricercare nel dialogo che la bambina instaura con la casa mentre cerca di stanza in stanza la nonna, e nemmeno nei bei giochi d’intagli che aprono scorci inaspettati pagina dopo pagina, ma nel livello narrativo interno ad ogni lettore. Che sia davvero la casa della vostra nonna, di unaAlice Malvin 3 zia, di un lontano parente o di un amico, tutti potranno trovare un dettaglio evocativo nel vasto boudoir di Alice Melvin, una camera delle meraviglie che si riempie via via di ricordi, di sensazioni, di storie che abbiamo vissuto e che appartengono a momenti d’infanzia vividi o dolcemente rarefatti. E come succede per i nostri migliori ricordi, anche la casa descritta nel libro è in parte reale e in parte frutto d’invenzione; ce lo dice la stessa Alice Melvin nella postfazione, una pagina insolita per un albo illustrato, un luogo appartato e privilegiato dove ascoltare la voce dell’autrice che ci racconta come e perché ha deciso di scrivere il libro. Ed effettivamente la casa di Alice Melvin è splendidamente eccessiva, una casa dove gli oggetti davvero appartenuti a nonna Muriel, così cita la dedica, si sono moltiplicati o sublimati per diventare tesori riconoscibili a ciascuno: il vialetto del giardino, per esempio, che portava la piccola Alice Melvin al pero carico di frutti, è diventato un’alta siepe di bosso, mentre lo scricciolo di porcellana, se cercate bene, lo troverete ancora appoggiato da qualche parte.

Questa operazione, che pure preserva intatta la dolcezza con cui l’autrice ricorda la sua cara nonna, ha contribuito enormemente al sapore del libro e, se da un lato ha sancito la perdita di un po’ di freschezza,  dall’altro ha dato al tema un respiro più ampio. Astrarre fino a raggiungere l’archetipo “casa della nonna” è un’operazione delicata e il rischio di cedere ad una certa leziosità non ha lasciato, a mio avviso, del tutto incolume l’albo di Alice Melvin; ciò nonostante, questa patinatura fa sì che il libro trasmetta immediatamente serenità e benevolenza. Con questo albo ci troviamo diametralmente opposti a “Le case degli altri bambini” di Luca Tortolini e Claudia Palmarucci, dove la forza del segno e le descrizioni degli interni si pongono in modo critico nei confronti del lettore e diventano un’occasione per interrogarsi sulla vita nascosta dietro le mura domestiche. La prima volta che sfogliai il libro di Luca Tortolini e Claudia Palmarucci, mi vennero subito in mente gli albi di Nikolaus Heidelbach “Cosa fanno i bambini?” e “Cosa fanno le bambine?”, dove una carrellata di fanciulli presentano allo sguardo imbarazzato e scandalizzato dell’adulto un’infanzia perturbante, divergente e vera.

Claudia Palmarucci, del resto, nell’intervista per il nostro Giardino degli illustratori ha detto:

“Cerco mediante le mie immagini di condividere una riflessione, un pensiero, una sensazione. Vorrei che i miei disegni suscitassero domande, che fossero occasione di confronto e scambio.” 

Alice Melvin 1Tutto questo resta fuori dalla casa di Alice Melvin, che poggia le sue fondamenta sotto un prato all’inglese ben curato; le domande si sospendono lasciando spazio ai ricordi, e lo scambio è dato dall’abitare insieme le stanze del libro. Con “A casa della nonna” ci troviamo al cospetto del tempo mitico dell’infanzia, di un luogo accogliente dove siamo stati o ci sarebbe piaciuto stare, dove riponiamo i nostri ricordi veri o immaginari, un’isola intatta e sicura dove ritrovare un mondo altro, costruito con pezzi della nostra esistenza e con i pezzi di altri racconti e di altre case. A parlare d’infanzia e ricordi si aprono sistemi complessi che paiono tutti confluire uno nell’altro: atmosfere, colori, suoni, profumi. Pur essendo un’età limitata nel tempo, l’infanzia si dilata a dismisura comprendendo anche un’infanzia ideale che a volte non abbiamo vissuto davvero ma che abbiamo solo immaginato di vivere; eppure questa infanzia ideale è potente quanto quella reale e ci prende per mano mentre sfogliamo l’albo di Alice Melvin. Forse quella vaga patinatura che possiamo attribuire al libro deriva da una sorta di nostalgia stereotipata nello sguardo del lettore adulto, mentre la casa di nonna Muriel, sospesa così com’è tra realtà e finzione, diventa per il lettore bambino un’occasione di immersione in un cabinet de curositès, in un catalogo straordinario di piccoli oggetti da ricercare poi nel proprio quotidiano. Ed è pur vero che sebbene i bambini affrontino la quotidianità immersi potentemente nel loro qui e ora, anch’essi sognano di altre case, di rifugi segreti, di dispense piene di biscotti, di soffitte misteriose… E quando ritrovano quegli elementi in un libro, anche se non hanno ancora sperimentato cosa sia il sentimento della nostalgia (e poi chissà, trattandosi in questo caso della casa della nonna), li riconoscono immediatamente. Questa del resto è la forza dei topoi, veicolati a nostra insaputa dal sistema culturale e rintracciabili così bene anche in un albo come questo.

Si potrebbe obbiettare che nella casa illustrata di Alice Melvin ci sia un eccesso di borotalco, che manchi quella nota contrastante di cui odoravano gli armadi di mia nonna pieni di pastiglie alla naftalina, o l’odore pastoso e nauseante della gallina spennata in cantina o quello sintetico del bagnoschiuma al pino silvestre che il nonno adoperava dopo essere stato nell’orto. Forse mancano anche le lenzuola ruvide, il fondo screpolato della vasca da bagno, lo spazzolino per le unghie sul lavabo… mancano insomma gli spigoli che pure sono così importanti nel dare spessore ai ricordi. Ma queste asimmetrie sono volutamente rimaste fuori dal libro di Alice Melvin: gli inglesi non amano esporre troppo la propria vita privata, restano a debita distanza, avvicinandosi quel tanto che basta per suscitare nel lettore una deliziosa emozione. Ecco, se cercate la delizia, questo è il libro che fa per voi; io me lo sono gustato fino all’ultimo sorso fantasticando sulla mia infanzia e contemporaneamente sulla casa che mi piacerebbe abitare quando sarò una libraia vecchietta: in campagna, profumata di biscotti e con una stanza nel sottotetto dove mettere a dormire i miei nipoti.

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