A ritrovar le storie

Premessa

Il libro di Annamaria Gozzi e Monica Morini, pubblicato da Edizioni Corsare, con le raffinate illustrazioni di Daniela Iride Murgia, ha destato in me talmente tante suggestioni da trasformare un consiglio di lettura in un articolo per il blog.
Ha contribuito alla stesura di questo articolo l’atmosfera surreale del Festival della Fiaba che, dall’ultima briciola del 24 e 25 maggio tenuta da Captain Nemo in poi, ha riempito la libreria di mille magici intrecci.
Porto poi ancora con me la bellezza dell’Alveare delle storie e la gioia e il privilegio di aver conosciuto Monica Morini, a cui dedico questo insolito consiglio di lettura.
Forse, in qualche momento, potrà apparire al lettore che io abbia perso il filo della storia, ma vi chiederei di pazientare fino alla fine per capire come il gioco va a finire.

a-ritrovar-le-storie (2)Un saltimbanco e un’oca, arrivano in una città che ha perso le parole. Senza le parole non ci sono storie e senza storie non c’è memoria.
Lasciamo per qualche tempo il saltimbanco e seguiamo l’oca; torneremo più tardi all’uomo, alle sue magie e alla sua straordinaria capacità di raccontare.
Seguendo l’oca arriviamo fino all’ultima pagina, dove ad attenderci c’è un gioco, lo stesso che i due protagonisti lasciano sul selciato della piazza agli abitanti di quella città senza parole.
Il gioco, neanche a dirlo, è quello dell’Oca.
Gli animali delle storie sono sempre animali magici.
L’oca di questa storia viene da molto lontano ed è forse per questo che il libro “A ritrovar le storie” possiede il fascino delle cose emerse in superficie dalla profondità del tempo. Certamente Annamaria Gozzi e Monica Morini sono due anime in grado di attingere a quel pozzo, e Daniela Iride Murgia prima di illustrare le belle tavole del libro deve aver dormito su un guanciale di piume d’oca e aver sognato volti e colori.
C’è una vecchina nelle montagne svizzere che alleva oche. I più raffinati produttori di trapunte imbottite vogliono solo le sue piume. Si dice che ci sia un momento speciale in cui poterle prendere, ovvero quando le oche piangono. A fine luglio le oche, spontaneamente, volano tra le braccia di quella vecchina e cantando, piangono. Allora la nonnina, che oggi ha più di novanta anni, accarezzandole dolcemente, toglie dal loro ventre caldo le candide piume.

L’oca nell’antichità

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Illustrazione di Anne Romby

Nella tradizione popolare l’oca è considerato un animale stupido. Stessa sorte tocca anche all’asino. E’ molto interessante notare come questi due animali sono al contrario molto intelligenti, capaci di moti di straordinario affetto e dotati di grande forza, resistenza, pazienza, che si sa, è la virtù dei giusti. Pensiamo alla fiaba di Pelle d’Asino, dove la principessa si traveste con la pelle dell’animale più umile per nascondere il tesoro della sua verginità, fino al momento della rinascita. Ciò che è prezioso deve rimanere nascosto e cosa c’è di più efficace che nascondere il sacro sotto il naso di tutti? Chi darebbe importanza ad un asino o ad un’oca? Questi animali sono il travestimento stesso, tutto il loro essere di luce risplende sotto i nostro occhi, ma noi sappiamo guardare?
Ma chi è l’Oca che accompagna il Saltimbanco e che ci guida nel gioco finale del libro di Annamaria Gozzi e Monica Morini?

Nell’antichità l’Oca era un animale legato intimamente al sacro.
Pensiamo alle oche del Campidoglio che nel 390 a.c avvisarono, con il loro starnazzare, il Console Marco Manlio dell’arrivo dei Galli.
Presso i Celti l’Oca era considerata la messaggera tra questo e l’altro mondo. L’Oca è un Ermes che presso i greci rivestiva il ruolo di psicopompo, cioè di accompagnatore dello spirito dei morti, colui che aiuta a trovare la via per il mondo sotterraneo ed uno dei pochi Dei che può frequentare gli inferi tornandone illeso. Nell’inno omerico a Demetra, sarà Ermes a riportare Persefone dal regno dei morti.
Anche gli Egiziani dell’antico regno (dinastie dalla 3^ alla 6, dal 2700 e il 2192) consideravano l’Oca un animale legato al divino, tanto che i faraoni venivano rappresentati con il geroglifico dell’Oca. Nella loro tradizione, molto più antica di quella occidentale-greca, il sole, Ra, era nato da un uovo deposto da un’oca, su un tumulo primordiale circondato dalle acque.

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Le oche di Meidum

Uno degli affreschi più antichi che conserviamo della storia dell’uomo è di 4700 anni fa e ritrae, su una tomba egiziana, le Oche di Meidùm. Evidentemente l’oca era un animale molto importante.
In Cina quando si insediava un nuovo re si lanciavano in volo quattro oche verso i quattro punti cardinali affinché come messaggere proteggessero le quattro porte del mondo dell’aldilà per salvare il re.

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Leda e il cigno di Peter Paul Rubens

Nella cosmogonia greca Zeus, il padre degli Dei, si invaghisce di Nemesis, la Dea della vendetta e della necessità, donna bellissima, ma terribile. Nemesis non accetta la corte di Zeus e per sfuggirgli si trasforma prima in un pesce e poi in oca.
Zeus chiede aiuto ad Afrodite e insieme ordiscono un piano per sedurre Nemesis: Afrodite si trasforma in aquila e bracca Zeus che ha preso le sembianze di un cigno. Zeus allora chiede protezione all’Oca-Nemesis che si è rifugiata in un canneto. L’Oca accoglie tra le sue ali il cigno e con lui si addormenta. Durante il sonno Zeus possiede Nemesi con la forza. Nemesis, al risveglio, accorgendosi di essere incinta, scappa. Quando finisce il tempo l’Oca-Nemesis depone un uovo metà blu e metà argento e lo abbandona nel bosco. L’uovo viene trovato da Ermes che lo nasconde nel ventre di Leda la notte stessa in cui si accoppia prima con il marito Tindaro e poi con Zeus trasformatosi ancora una volta in cigno per sedurla. Leda deporrà due uova, da un uovo nasceranno Polluce ed Elena e dall’altro Castore e Clitennestra. (Castore e Polluce sono i Dioscuri, Elena sarà causa della guerra di Troia e Clittenestra diventerà moglie e assassina del marito Agamennone).

Ma cosa ha a che fare l’oca con le storie?

a-ritrovar-le-storie (6)Questa domanda può risultare banale visto che fino ad ora non abbiamo fatto altro che intrecciare la figura dell’Oca con i miti che, a loro volta, sono così strettamente legati a racconti e fiabe; ma c’è dell’altro.
Tra il 1693 e il 1697 Charles Perrault pubblica “I racconti di mamma Oca” (Contes de ma mère l’Oye).
Nella prima edizione di Perrault, che tra gli undici racconti annovera anche Pelle D’Asino, le fiabe sono “sans moralité” ovvero senza morale, la quale invece sarà presente nella più nota edizione del 1697.

Prima di procedere facciamo un brevissimo inquadramento storico.
La fine del 1600 corrisponde ad un periodo di grandi cambiamenti. Newton fonda la scienza moderna: l’oggetto della fisica antica che consisteva nel contemplare la natura in actio viene dimenticato e nasce, per scopi economici, la tecnica. La natura non viene più indagata nei suoi perché ma nei suoi come al fine di poterla sfruttare per trovare qualcosa che possa essere venduto e comprato.
Avviene il distacco tra fisica e alchimia, che fino al 1600 avevano costituito un corpo sapienziale unico denominato prisca sapienza.
Alla fine del 1600 scoppia la Guerra dei Trent’anni (nove milioni di morti passati a fil di spada). Il polo della sapienza si sposta dai Gesuiti alla chiesa protestante.

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Illustrazione in un manoscritto del 1695, fonte Morgan Library and Museum

In questo clima culturale tutt’altro che stabile ebbero grande successo in tutta Europa i “Racconti di mamma Oca” di Chiarles Perrault.
Nella copertina del 1693 vediamo una vecchietta che fila (la mère L’Oye), due bambini intorno a lei, una candela, simbolo della sapienza, un gatto sornione (altro abitante dei due mondi) e il titolo dell’opera su una porta chiusa con un lucchetto.
Quest’ultimo elemento è davvero singolare e lo ritroviamo anche nell’edizione successiva dei racconti di Mamma Oca.
L’Oye in francese si pronuncia Luà come La loi, che significa “legge”.
In cabala fonetica, o Lingua degli Uccelli, molto in voga e conosciuta ai tempi di Perrault, I Racconti di Mamma Oca possono anche essere letti come I Racconti di mia madre La Legge, i cui precetti e insegnamenti sono chiusi dietro ad una porta chiusa a chiave.
I racconti della legge sono chiusi, non se ne nega l’esistenza, ma per attingere alla loro sapienza bisogna avere la chiave. Sarà Perrault a fornircela nelle sue fiabe, sempre se sapremo leggere oltre le righe.
E a chi viene affidato il compito di leggere a noi questi racconti? A Mamma Oca, naturalmente!
Quale messaggero migliore, chi meglio dell’Oca Mercuriale può entrare e uscire da quella porta chiusa e darci le chiavi giuste per svelare i misteri al di qua dello specchio?
Cosa contengono le fiabe? Quali misteri nascondono se le sapremo davvero ascoltare?
Nel momento in cui la scienza intesa come tecne ha il sopravvento, il linguaggio delle fiabe, da sempre mistico e allegorico perché deriva direttamente dal mito, diventa uno dei mezzi privilegiati con cui trasmettere ciò di cui non si può parlare. Ma chi saprà ascoltare davvero? Quali storie abbiamo dimenticato e dobbiamo ritrovare?

“Considerando il significato di Nemesis (Necessità) e parlando la lingua degli Uccelli si converrà che Ma mère L’Oie è anche Ma mère Loi, vale a dire l’ordine cosmico e più esattamente l’immagine della struttura sacra dell’Universo nella sua originale primeva con-creazione e la regina Pedauque (Pied d’Oie), personaggio della cultura medievale francese, viene allora a contrassegnare con la sua zampa palmata-forcuta gli abiti dei fanatici bigotti, alcuni incroci delle vie di pellegrinaggio verso Compostellae e le travi strutturali di carpenteria.”

Così scrive Gerard de Nerval nel 1800.

Il tema della Regina Pedauque si ritrova in molte tradizioni, tra le più famose ci sono quella francese e tedesca. I miti presentano delle costanti: si tratta sempre di una donna di nobili natali affetta dalla lebbra o da una malformazione, cioè di avere un piede palmato come quello di un’oca.
Il mito di Pedauque è spesso legato al tema dell’acqua (bagni, fontane e sorgenti miracolose). Il piede palmato e la lebbra sono strettamente correlati: la lebbra è una malattia che rende la pelle simile alle squame di un pesce o può far pensare alle zampe di certi uccelli acquatici.
Il piede d’oca infatti era il segno distintivo dei lebbrosi nel Medioevo e successivamente venne a contraddistinguere i Bigotti (che si pensa potessero discendere dai lebbrosi).
Quello che conta di queste leggende è che, ancora una volta, identificano nell’oca un animale portatore di sapienza: chi infatti è marchiato ad un piede e zoppica (pensiamo ad Efesto) appartiene sempre a due mondi poiché non è del tutto né di qua né di là (da questo deriva il suo strano deambulare). Quindi l’Oca si riconferma ancora una volta un animale messaggero, in grado di traghettarci nel mondo delle storie, forse per ritrovarle.

Torniamo al nostro saltimbanco…

a-ritrovar-le-storie (6)Ecco dunque che il Saltimbanco del libro “A ritrovar le storie” porta con sé come compagna un’Oca: nella città che ha perduto le storie non vi può essere animale migliore per riportare dal mondo dell’oblio l’antica sapienza.
Il Saltimbanco è figura fondamentale, egli è il narratore, è il portatore e il custode dell’Oca e in quanto tale possiede la potenza del verbo vivificante.
Senza la sua voce, l’Oca non potrebbe esprimere la sua funzione ermeneutica, ovvero quella di svelare i significati nascosti o dimenticati (non a caso il termine ermeneutico deriva da Ermes).

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Gioco dell’Oca del XI secolo

E cosa lasciano sul selciato della piazza il Saltimbanco e l’Oca quando ripartono?
Fulcanelli nel suo libro “Il mistero delle cattedrali” dirà che il Gioco dell’Oca, all’origine, era un riassunto per immagini del percorso della Grande Opera “just au coeur” – fino al cuore. La Grande Opera è il processo alchemico attraverso cui possiamo gettare uno sguardo oltre lo specchio e comprendere finalmente la natura che, nella sua grandezza, è infinitamente semplice e che tuttavia ci rimane nascosta come la luce segreta racchiusa nell’Oca o nell’Asino.

a-ritrovar-le-storie (1)“A ritrovar le storie” di Annamaria Gozzi e Monica Morini è un invito a giocare e a raccontarci storie, sotto la bianca protezione delle ali dell’Oca. Se sapremo raccontare il buio della morte e la luce della vita non escludendo dal nostro cammino l’aspetto duale del mondo, e se sapremo farci zoppi e umili per bagnarci nella fonte miracolosa, allora ritroveremo le storie, quelle vere, quelle che ci salveranno perché dicono da sempre la verità.

Con l’augurio che questo libro possa arrivare in ogni città,
Con affetto
Alessia

Tutte le illustrazioni senza didascalia all’interno dell’articolo sono tratte dal libro “A ritrovar le storie”; l’autrice è Daniela Iride Murgia.

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