I libri a tema

Ormai i miei lettori sanno che non amo i libri a sfondo pedagogico e didattico perché li trovo poco interessanti sia per l’adulto che per il bambino. Ultimamente se ne pubblicano moltissimi e tra questi ci sono anche quelli che io definisco ironicamente “i subdoli”, ovvero quei libri che partendo da una storia si rivelano poi degli strumenti fine a se stessi (“subdoli” rispetto ai “libri aspirina” non si individuano così facilmente pu essendo dei libri dichiaratamente “a tema”).

Mi è capitato di intrattenere, proprio qualche settimana fa, una bellissima conversazione con i librai del Coordinamento delle librerie indipendenti riguardo a tre libri da inserire o meno nel bollettino ad uso delle biblioteche, bollettino che ogni mese presenta le novità editoriali più significative passate al vaglio da me e dai miei colleghi; quasi in contemporanea, mi è stato richiesto un parere su uno dei libri in questione da un’affezionata cliente della libreria, una psicologa e psicoterapeuta infantile.

Tre albi che definisco “a tema”

Parliamo de “Il buco” di Anna Llenas (Gribaudo), “Un trascurabile dettaglio” di Anne-Gaell Balpe (Terre di mezzo) e “Un posto silenzioso” di Luigi Ballerini e Simona Mullazzani (Lapis).

Capisco quando mi si dice che questi libri sono “utili”, perché, in fondo, i libri come “Il buco”, “Un posto silenzioso” e “Un trascurabile dettaglio” nascono proprio con intenti precisi, e poiché il libro, tra le sue tante declinazioni, può comprende anche quella di “strumento”, ogni lettore è libero di usarlo come crede.

Sono anche pronta ad ammettere che perfino l’albo più infelice può avere una seconda possibilità nelle mani di un lettore motivato, e che, probabilmente, questo entusiasmo renderà il libro molto gradito anche al bambino. Quanti libri – che continuo a ritenere “non buoni” – ho visto ottenere discreti successi solo perché letti o “animati” con convinzione! (E quante volte mi sono ritrovata a chiedermi se per caso non fossi io diventata troppo ostinata nelle mie idee).

Ben sapendo che un adulto che legge è considerato già di per sé un dono, penso che il mio parere su questi libri riveli una coerenza di fondo rispetto alla mia poetica di libraia.
Sono davvero persuasa che una buona storia valga molto di più di qualsiasi libro didattico, e sono ben determinata, nel tempo che dedicherò al mio mestiere, a diffondere questo pensiero e a difenderlo.

Un trascurabile dettaglio
Un’illustrazione da “Un trascurabile dettaglio”

Non metto mai in dubbio le intenzioni dei miei lettori e cerco il più possibile di calarmi nei loro panni perché ognuno ha il proprio percorso e il proprio sentire.

Sono convinta però che a volte fare due chiacchiere approfondite con un libraio competente potrebbe offrire una valida alternativa ai libri sopracitati,  e forse farebbe scoprire quanti tesori nasconda un libro con una storia non costruita intorno ad una tematica specifica.

Certamente i processi innescati da una storia non a tema sono molto più lenti, nascosti e misteriosi rispetto ad un libro che parla apertamente di amicizia, emarginazione, disagio, silenzio ecc… Ma i tesori che una buona storia mette in luce sono di gran lunga più preziosi.

Il tempo di una buona storia

Le storie richiedono tempo e costanza per rilasciare i loro misteri, ci intimano di volersi incontrare segretamente con la vita per poter fiorire, quindi posso ben capire quanto, per esempio, in ambito terapeutico i libri di narrativa siano poco letti.  Eppure non dimentico che spesso le storie dei libri sono affari privati, da leggere nell’intimità; che a volte una pagina condivisa ad alta voce non ha bisogno di nient’altro se non del tempo che ci concediamo per ascoltarla e che i libri non sono necessariamente degli strumenti di guarigione o di comprensione delle dinamiche esistenziali.

Libri come “Il buco” sono scelti da maestre, atelieriste e pedagogiste perché sono “libri su cui si può lavorare” o “libri per parlare”.  Non possiamo però essere certi che mostrare un buco (o meglio “visualizzarlo” come si tende a dire oggi) possa aiutare un bambino. Mi chiedo se non ci siano davvero altri strumenti, oltre all’albo, per parlare di  dolore. E se alla fine decidiamo di usare un libro, non sarebbe meglio una storia che non si limiti all’argomento prescelto inserendo il tema del dolore – per esempio – in un contesto più ampio e articolato?

 

Il buco
Illustrazione tratta da “Il buco”

 

I libri a tema” dichiarano i loro intenti sotto una veste filosofica, concettuale e pedagogica. Il loro scopo è quello di assecondare l’adulto a cui piace immaginare il lettore bambino intento a rielaborare il suo presente, il suo vissuto e le sue emozioni attraverso un libro.

Mi sono immaginata Astrid Lindgren valutare come editore il punto di vista del bambino in questi albi… Credo non li avrebbe pubblicati.

Forse si sarebbe chiesta se un bambino potesse trovarli interessanti: un vademecum non richiesto su come ci si sente o su cosa si provi in certe situazioni.

Ora io so che qualche lettore mi scriverà dicendo che i bambini figli hanno trovato questi libri splendidi e che desiderano leggerli tutte le sere. Probabilmente mi direte anche che i bambini sono molto intelligenti e sensibili…

Anche se non metto in dubbio il vostro punto di vista, mi rimane sempre sulla punta della lingua una domanda molto semplice: e se gli si leggesse delle storie autentiche quali libri preferirebbero?

Forse e giustamente mi rispondereste: entrambi. E aggiungereste: perché sono cose diverse. Vero, sono cose diverse e nessuno vieta che possano coesistere.  Tuttavia ritengo, come libraia, che in un libro di Roald Dahl o di Astrid Lindgreen il bambino ci sia davvero e che invece ne “Il buco” il bambino sia solo un pretesto, un fenomeno da analizzare, scorporare, interpretare, visualizzare.

Un posto silenzioso
Illustrazione di Simona Mullazzani da “Un posto silenzioso”
L’infanzia nei libri a tema

Penso che tutta questa attenzione ai processi interni stia allontanando i bambini dall’infanzia. Gli adulti sono molto concentrati sui propri  stati d’animo, e forse ritengono che anche il bambino dovrebbe fare lo stesso (intendiamoci: per il suo bene).

C’è come l’esigenza di rendere i bambini sempre più consapevoli delle proprie emozioni, dei sentimenti, di cosa significhi diverso... ma poi a conti fatti, davvero i bambini di oggi dimostrano tutta questa consapevolezza? O sono piuttosto gli adulti a sentirsi rincuorati da un lavoro tanto minuzioso, attento e curato sull’infanzia? E questo bambino cresciuto con tanti libri sull’amicizia o sul valore della diversità è un bambino ce sarà capace per questo di stare insieme agli altri? I bambini vivono sempre più isolati e le relazioni fondamentali, ovvero quelle con altri bambini in contesti diversi dalla scuola o della famiglia, sono seriamente minacciate da una società che tende a volerli sì più consapevoli delle proprie emozioni, ma inesorabilmente soli.

I bambini che oggi entrano in libreria mi paiono molto bisognosi soprattutte di storie, storie in cui incontrare se stessi e gli altri liberamemte. I bambini che entrano in libreria sono bambini seguiti, amati, spronati, incoraggiati… ma sembrano già stanchi dei libri o di andare all’asilo (4 anni e già stanchi);  e non dimentichiamo che Radice-Labirinto si trova in Emilia Romagna dove le scuole dell’infanzia sono considerate un’eccellenza.

Quando arriva in libreria un libro come “Un posto silenzioso” io immagino già le maestre fare tutto un percorso sul silenzio adoperando questo albo; eppure a me pare  si tratti di un’operazione che lascii gli operatori e i genitori più soddisfatti dei bambini.

Da parte mia auspico un ritorno alle fiabe e alle storie spensierate, ai tempi in cui leggere un libro significava solo leggere una storia, i tempi in cui sui libri non si lavorava.

11 pensieri su “I libri a tema

  1. Notevole. Devo un po’ metabolizzarlo perché temo che il libro subdolo attragga anche me, che pure ho in odio i libri aspirina e credo fortemente nelle belle storie.

    1. Cara Alessia,
      bisogno restare sempre vigili perchè è proprio nell’ombra – o di contro nell’eccessiva bellezza di certe illustrazioni – che si annida il germe pedagico delle storie; ma basta chiudere gli occhi e ascoltare con le orecchie, per capire se una storia può essere raccontata o meno. Se non lo si può fare o si è di fronte ad una poesia o a un libro senza una vera storia. E’ un trucco infallibile. Unica accortezza: anche se la storia la si può raccontare a libro chiuso, prestiamo attenzione che non sia sciatta o non ruoti attorno ad un concetto più che ai protagonisti. Le storie sono boschi dai molti sentieri.
      Un abbraccio.

  2. Mi trovo pienamente d’accordo con Lei.I bambini sono avidi di storie e l’incanto che può nascere dall’ascolto -lettura di una fiaba,di un racconto alimenta la fantasia,la curiosità,l’emotività dei piccoli che se ne nutrono e senza nessuna esplicitazione danno molle risposte e stimolano altrettante domande.
    Come docente di lettere ho dovuto lottare contro i cosiddetti libri di narrativa,con apparato didattico di schede che annullavano la bellezza di qualsiasi testo,riducendo la lettura a mero esercizio didattico.Questo mi pare possa accadere ,in altre forme e modi,con i libri costruiti con scopi pedagogici a cui lei ha fatto riferimento.
    Oggi sono in pensione ma come nonna di una bimba di tre anni ritrovo il piacere di raccontare storie belle nella loro essenza.
    Gentile Alessia,seguo con interesse le sue attività e mi sento in sintonia con lei.

    1. Gentile Maria Luigia,
      anche se lei ora è in pensione sapere che ha lottato per togliere gli apparati didattici dai libri di narrativa, mi fa sperare che in giro per l’Italia ci siano uomini e donne che, traendo beneficio dal suo coraggio, ora sono adulti che amano leggere.
      La sua è una nipotina fortunata.
      Grazie per la stima.

  3. ti abbraccio e ti bacio. grazie!
    non dobbiamo lavorare sulle storie.
    sono le storie che “lavorano” in noi.
    sicuramente raccontare le storie è
    il modo privilegiato per “usarle”.
    è necessario ritrovare il senso e non semplicemente lo scopo
    …in tutte le cose.
    stefania

  4. Ottimo intervento, cara libreria dall’azzeccatissimo nome. condivido ogni parola. Io sono un’autrice per ragazzi che da trent’anni cerca di fare il suo mestiere dalla parte dei bambini, stando ben alla larga dai messaggi ‘subdoli’ di cui parli. Le buone storie (a differenza delle storie buone) prescindono dai temi, dai ‘messaggi’, dalle finalità pedagogiche e naturalmente dalla servitù alle ideologie o al trend di pensiero. Prescindono dalle mode, dal marketing, dai tormentoni (da maghi e topi, ormai ci scampi Iddio!), dal politically correct. Nascono da qualcosa che attira l’attenzione dello scrittore, qualcosa di cui gli importa davvero. Poi crescono, si sviluppano, diventano intreccio, vicende umane. E nello sviluppo della trama, nelle dinamiche tra i personaggi, nelle svolte narrative, dentro le pieghe della vicenda (spesso nei dettagli), l’autore mostra se stesso, il proprio modo di pensare l’infanzia, cosa reputa che essa desideri le venga rappresentato da una storia.
    Ciò che conta, ciò che mi sembra che la letteratura per ragazzi di oggi (quella genuina) sappia fare molto bene, è condurre la narrazione in porto senza giocare sporco, stabilendo con il lettore un rapporto di intesa leale e trasparente. Come dire: attento, questa è fiction, te lo dico subito e voglio che tu lo tenga bene a mente. E prometto anche di non strafare, così ti sembrerà quasi una storia vera, o meglio una storia possibile, tenuto conto di quello che già conosci della vita e del comportamento degli esseri umani. Bambini compresi.
    Gli scrittori che scrivono buone storie (e ce ne sono, in Italia) li riconosco proprio da queste due caratteristiche: 1) i personaggi delle loro storie agiscono dentro un tessuto narrativo credibile e quindi necessariamente contraddittorio, come lo è la vita vissuta. 2) la scrittura è onesta, l’intenzione dell’autore è portare avanti la storia (anche fantastica) attraverso comportamenti e situazioni umane plausibili e non manipolare gli eventi per altri fini, esterni alla narrazione, con svolazzi alla Coelho.
    Dunque la letteratura per ragazzi è diventata una letteratura senza più pedagogia? Nulla di più lontano dal vero, tant’è che circola ancora con un certo successo il suo prodotto succedaneo, il pedagogismo (vedi i mille racconti preconfezionati e buonisti sulla pace, sull’handicap, sulla questione palestinese, sugli anziani, sulla resistenza e la shoa), sempre ben stretto al trend e/o all’ideologia, sua vecchia cara guida ed accompagnatrice. Però nelle storie che piacciono a me la pedagogia si fonde/confonde con le strategie narrative con un obiettivo diverso: ciò che si vuole è catturare l’attenzione del lettore, conquistarlo al racconto, coinvolgerlo anima e corpo nella storia, innamorarlo della letteratura. Una pedagogia narrativa, insomma, che si potrebbe chiamare ‘seduzione alla lettura’ attuata attraverso il mestiere di scrivere per persone che crescono e si formano anche attraverso i sentieri intrecciati e labirintici della letteratura.
    Questo non annulla il ruolo specifico della letteratura per ragazzi, la sua peculiarità. Al contrario, li esalta. Perché lo scrittore sa ( o dovrebbe sapere) di scrivere per apprendisti, sa che il suo compito è prima di tutto formare la loro passione per la lettura. Sa che le storie che racconta dovranno essere psicologicamente vicine al vissuto dei ragazzi, ma anche osare qualcosa in più (nello stile, nella trama) , perché il lettore si affini e cresca nella sua capacità di godimento della lettura. E sa ( ma dovrebbe ricordarselo ogni volta) che esiste un’etica della scrittura per ragazzi. Il rapporto di trasparenza e lealtà con il lettore, di cui parlavo prima, è anche la responsabilità che si assume di fronte a persone in formazione, che possono essere plagiate, o manipolate, suggestionate, prese in giro o – altrettanto colpevolmente – incoraggiate alla lettura come mero consumo, attraverso il marketing.
    Ciò che ha da offrire uno scrittore onesto è un punto di vista personale sulle cose di questo mondo, così come lo ha elaborato attraverso le esperienze di vita, le letture formative, la propria sensibilità di uomo (di donna). Astenendosi dai ‘trucchi’, fidandosi della potenza della narrazione senza ‘effetti speciali’, sdegnosamente rifiutandosi di dispensare perle di saggezza. Ecco qua una forma nobile di pedagogia, qualcosa di cui si può andare giustamente fieri dentro ad un’opera letteraria. Un fattore che ne può generare la transitabilità (ad esempio verso la letteratura adulta, oppure verso lettori più inesperti) ed assicurarne la durata nel tempo. Questa deontologia è una conquista della letteratura per ragazzi di oggi, e quando è praticata fino in fondo genera piccoli (o grandi?) capolavori di scrittura.
    Per il resto, le storie sono storie e basta, il cammino della letteratura non è certo uguale al percorso dell’indagine scientifica. Foscolo, voglio dire, non era più ‘avanzato’ di Orazio. Né Collodi più ‘moderno’ di Basile. Eccetera, eccetera. La ricchezza dell’animo di un poeta, le qualità di uno scrittore, non si misurano con questi criteri cronologici. Tutti camminiamo verso qualche direzione, non tanto in cerca di un ‘progresso’ dei contenuti, di un prima o di un dopo, di un questo o di un quello, quanto di altri modi per raccontare e raccontarci l’esistenza.

    1. Gentile Anna, mi scuso per il ritardo con cui rispondo al tuo bellissimo commento.
      Ti ringrazio molto per aver espresso con così tanta chiarezza il tuo pensiero, per aver parlato con limpidezza del mestiere di una scrittrice e di uno scrittore, e per aver arricchito con le tue parole il mio articolo.
      E’ confortante sapere di non essere soli ad osservare con sguardo critico lo scaffale di una libreria; rimanere vigili rispetto alla produzione editoriale mi permette di consigliare con sincerità i miei lettori, ma mi porta anche molte ambasce.
      Quello che tu dici nel tuo commento io lo trovo profondamente vero, e sono certa che anche i lettori del blog ne avranno beneficio. Quindi ti ringrazio moltissimo.
      Con affetto

      Alessia

  5. Ti ringrazio perchè hai dato parole e dunque hai chiarito una sensazione confusa che non avevo bene approfondito dentro di me. Marta

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