Libro elegante, libro distante?

Oggi affronterò un tema molto delicato, a cui ho già accennato tante volte senza mai approfondire i miei pensieri in modo adeguato.
In ogni libreria, specializzata o meno, viene tracciato un confine sottile quanto mutevole, tra un albo illustrato “per bambini” e un albo illustrato più raffinato ed elegante percepito come distante dall’immaginario infantile.
A tracciare questo confine sono di volta in volta editori, librai, maestre, educatori, nonni, genitori e non ultimi i bambini. Tutti gli editori, escluso forse qualcuno, presentano nei loro cataloghi albi che, si dice, “ammiccano agli adulti”.

Ma cosa succede quando osserviamo i clienti alle prese con questi albi?

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Inventario illustrato degli alberi – Ippocampo

 

Le maestre consultano e sfogliano, si lasciano consigliare volentieri, ma alla fine, giunte alla cassa, dovendo fare una scelta, abbandonano sul bancone gli albi definiti “più difficili”.

Le persone più anziane non hanno dubbi: ai bambini piace solo un certo tipo di illustrazione e certi albi non li guardano nemmeno; una volta una cliente  ci ha detto che da noi non comprava nulla perché avevamo solo libri belli, invece ai bambini piacciono i libri “…sa? Un po’ così… brutti”.

I genitori prediligono per lo più gli albi più tradizionali, con immagini e storie edificanti.
Naturalmente per ogni categoria ci sono le eccezioni: c’è chi punta sull’effetto sorpresa comprando “l’albo che non ti aspetti”, chi per partito preso rifiuta tutto ciò che è convenzionale e chi si affida alle parole del libraio che felice riesce a vendere uno di quegli albi meravigliosi che ha messo in pila correndo qualche rischio.

Oggi la linea di demarcazione tra un albo per bambini e un albo più raffinato, e quindi percepito più adatto ad un adulto, è davvero sottile.

Chi si approccia al libro per bambini non lo fa mai in modo neutrale.

Vuoi la cultura, vuoi l’educazione, ogni cliente ha un’idea di chi sia il bambino piuttosto precisa; anche quelli che entrano dicendoti che devono fare un regalo, ma non conoscono bene il destinatario si lasceranno persuadere più dalle loro convinzioni sull’infanzia che dalle parole del libraio.

L’ idea di bambino che ognuno possiede è la bussola con cui si traccia quella linea di confine: da questa parte i libri per bambini, da quest’altra parte i libri “strani, difficili, complessi, sbagliati”.

In parte su questo blog, in altri articoli dedicati al libro, ho già approfondito alcune tematiche sullo sguardo del lettore, per cui oggi vorrei provare ad…

Osservare l’albo illustrato con lo sguardo del bambino e dell’adulto.

Illustrazione di Chris Van Allsburg

Sono da sempre a favore dei libri “difficili”, ma credo anche che riconoscerli come tali aiuti il libraio a proporli con maggiore consapevolezza.

Nessun linguaggio deve essere precluso al bambino in fatto di illustrazioni e di testi, nessuna strada è giusta o sbagliata, ma esistono diversi gradi di comprensione che non sempre nella società contemporanea sono immediatamente riconoscibili.

Sono pure persuasa che se molti albi tra le mani degli adulti non riescono a splendere, tra le mani di un bambino siano miniere ricche di tesori che aspettano solo di essere riportati alla luce. Il mio approccio critico non tiene conto di un’età precisa del bambino-lettore, considerando il linguaggio dell’albo senza confini precisi; la fruibilità di un libro, cosi come vale per le immagini, può essere definita universale, ed è forse proprio per questo che è cosi difficile definire ciò che è per bambini da ciò che non lo è.

Illustrazione di Dick Bruna
Una come Babalibri

Se osservo le fotografie che abbiamo ricevuto per il concorso “Tipi da copertina”, in cui chiedevamo ai bambini di imitare la copertina del loro libro preferito, non posso non notare che una delle case editrice più amate sia Babalibri.

La casa editrice Babalibri si rivolge per lo più a bambini  di età prescolare. Ha nel suo catalogo albi importanti come “Piccolo blu e piccolo giallo” di Leo Lionni, “L’albero” di Iela Mari, “Una zuppa di sasso” di Anaïs Vaugelade, “Il raffreddore di Amos Perbacco” di Phlip ed Erin Stead…

Babalibri in una libreria è una certezza, una casa editrice solida, riconoscibile; la sua cifra stilistica punta su illustrazioni che nascondono grande cura e maestria.

Negli ultimi anni Babalibri ha editato titoli nuovi che hanno a mio avviso abbattuto qualche confine come “Vita segreta nell’ortodi Gerda Muller e “E poi… è primavera” di Erin Stead e Julie Fogliano. Con “Vita segreta nell’orto” , per esempio, Babalibri ha alzato l’età del suo pubblico, ma il libro è rimasto estremamente godibile, raffinatissimo e fresco. Un bambino non avrà nessuna difficoltà di approccio né al testo né alle illustrazioni, e se il genitore non si spaventa davanti a tante parole, scoprirà quanto la storia di Sofia possa appassionarlo ed istruirlo.

Con “E poi…è primavera” la linea di confine tra libro per bambini e libro per adulti si è fatta ancora più sottile. Personalmente trovo l’albo “E poi… è primavera” un ottimo albo. L’ho subito recensito perché qualcosa nella sue pagine mi aveva colpito; tuttavia vedo che l’adulto si trova spaesato, anche davanti ad un libraio attento e premuroso che glielo presenta con disinvoltura e affetto.

E poi…è primavera – Babalibri

Quello che forse non convince l’adulto non sono le immagini (il lettore che si ferma già a questo livello ha bisogno certamente di un fermo incoraggiamento da parte del libraio), ma il testo molto esile, che in alcune parti potremmo definire rarefatto.  Eppure questo è un albo straordinario: i numerosi dettagli invitano ad un’osservazione attenta, mentre i vocaboli raffinatissimi (penso a quel bellissimo “mormorio verde”) tuffano il bambino nella bellezza della propria lingua madre. E’ un albo che a mio avviso dovrebbe essere lasciato a disposizione del bambino per una lettura privata, così che i piccoli lettori possano tornare spesso sulle sue pagine.  Ancora più difficile da presentare ad un adulto, sempre degli stessi autori, è l’albo “Se vuoi vedere una balena” edito ancora una volta da Babalibri, perché qui la rarefazione raggiunge anche le immagini e tutto ruota non solo intorno al concetto di attesa, ma anche di nostalgia.

La nostalgia fine a se stessa

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E poi…è primavera – Babalibri

Io credo che il problema di quella linea fragile che divide gli albi per bambini da quelli per adulti abbia molto a che vedere con la nostalgia.

L’idea che un cliente ha rispetto ai gusti letterari di un bambino è spesso limitante, ed è compito del libraio rendere quella idea più morbida e flessibile, ma ci sono dei libri che sembrano portare con sé concetti che appartengono ad una sensibilità matura e sui quali è molto arduo scendere a compromessi, poiché leggendoli  il lettore potrebbe avvertire una distanza fortissima tra l’albo e il bambino.

Il sentimento principe che, a mio avviso, ha tanta responsabilità in questo processo di allontanamento (e che al tempo stesso è complice dell’innamoramento di tanti adulti per la letteratura per l’infanzia) è la nostalgia.

A volte quell’ammiccamento di cui si parlava all’inizio altro non è che un tuffo  in un’idea di infanzia che rimane legata ad una dimensione quasi ideale – spesso appartenente al passato – che, con più o meno forza, accompagna ciascuno di noi.

E’ un sentimento forte che si impossessa non solo di chi legge, ma anche di chi scrive, e che poi in un qualche modo fa sì che il libro diventi affine, ad una prima lettura, più all’adulto che al bambino.

 

L’uomo dei palloncini – Simone Rea

 

E’ in effetti molto difficile scindere la scrittura, qualsiasi scrittura, dai ricordi e dalle sensazioni che hanno caratterizzato la nostra vita; e se è vero che i migliori scrittori per bambini sono quelli che non hanno dimenticato la propria infanzia, gli autori di talento riescono in qualche modo a prendere le distanze dalla nostalgia fine a se stessa e da un’infanzia ideale, per restituirci una storia autentica, vibrante e attuale,  in un “hic et nunc” capace di parlare agli adulti quanto ai bambini.

Quindi a mio avviso la nostalgia in un libro per bambini è più che legittima (anche se a volte rischia di allontanare il lettore adulto), mentre non lo è la nostalgia fine a se stessa.

La nostalgia è preziosa, è fatta di ricordi che brillano come perle, e quando ci si accinge a scrivere può essere un’alleata potente, ma bisogna farla rimanere invisibile se vogliamo narrare per i bambini.

I bambini sono troppo giovani per conoscere il sapore agrodolce della nostalgia, sanno sentire la mancanza di un luogo o di una persona, ma quell’assenza è vissuta sempre nel presente. I bambini sanno riconoscere la solitudine, il dolore, la tristezza, ma la nostalgia è un’altra cosa. La nostalgia ha a che fare con il sogno, con quel mondo fluttuante e irreale che i bambini conoscono, ma di cui in fin dei conti si può parlare solo retrospettivamente.

La nostalgia fine a se stessa nasconde poi un’altra insidia: la nostalgia chiama il lirismo.

Il lirismo non è la poesia.

No vorrei essere fraintesa: la poesia è un genere per bambini, i libri di poesia vengono definiti difficili dall’adulto forse perché lui per primo non ama più la compagnia dei versi.

La poesia per bambini si divide in due categorie: la prima è quella delle filastrocche, delle rime e delle cantilene, dove il ritmo incalza e la musicalità entra in ogni parola; la seconda è quella delle poesie a verso sciolto, come quelle di Giusi Quarenghi edite nella raccolta “E sulle case il cielo” di Topipittori scritte sui bambini per i bambini dove le parole sfiorano appena la nostalgia, senza inciampare. Stessa cosa vale per le poesie di Silvia Vecchini nella raccolta “Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno” sempre di Topipittori.

 

E sulle case il cielo – Giusi Quarenghi

 

Ma quando la poesia entra in un testo narrativo, chiamata dentro dalla nostalgia, se non si sta attenti si può trasformare velocemente in lirismo con la conseguenza che quel libro diventerà piuttosto ostico per un bambino.

Ci sono testi narrativi molto poetici, dove l’allusione non necessita di spiegazione (come scrisse in un celebre aforismo Oscar Wilde); ma quando il testo, sospinto dalla nostalgia, si invola inanellando pensieri ad altri pensieri perdendo di vista la trama e la realtà, ecco che l’albo elegante diventa distante.

Non è detto che il libro debba parlare per forza di ricordi, non è necessario. In “Se vuoi vedere una balena” la nostalgia fine a se stessa forse arriva quando si parla del profumo delle rose,  e ne “L’uomo dei palloncini” di Giovanna Zoboli arriva quando l’uomo dei palloncini alla sera conta tutte le luci.

E’ legittimo e confortante però pensare che questo albo a molti bambini piacerà e che faranno tante domande perché il bello dei libri è questo, che sono sentieri tutti ancora da tracciare.

Gli albi citati li ritengo dei buoni albi, anche se con qualche inciampo qua e là.  Altri, invece, a mio avviso, come “Ti ricordi ancora” di Zoran Drvenkar e Jutta Bauer edito da Terre di mezzo sono pieni di lirismo un pò fine a se stesso.

Libri eleganti in cerca di una collocazione

Albi come “Se vuoi vedere una balena” o “L’uomo dei palloncini” sono eleganti, raffinatissimi, ma fanno fatica a trovare una collocazione nelle libreie domestiche dei bambini perché probabilmente si scontrano con uno sguardo adulto che proprio perché si ritrova con commozione tra le pagine,  non riesce poi a ritenere quel linguaggio plausibile per i più piccoli.

Si rischia quindi di definire ingiustamente quei libri come “libri chic” o peggio “snob”, libri che abbondano in quelle librerie “sopra le righe” che tengono solo “libri belli, ma non adatti ai bambini.

Se vuoi vedere una balena – Babalibri

 

Per metonimia poi (come il tocco magico di Re Mida) un solo libro “chic” è capace di rendere “chic” tutta una casa editrice e la libreria che lo presenta. Per qualcuno questo potrebbe essere motivo di vanto, ma non per me. Un libraio competente conosce i propri libri, i loro limiti e i loro pregi, ama circondarsi di cose belle e buone perché sa che ogni bambino è diverso e imprevedibile. Al libraio piace discutere con i suoi clienti, sentire le loro considerazioni, anche quando sono distanti dai suoi pensieri. Il dialogo sui libri è fondamentale per capire in che direzione si sta muovendo la società. Aver letto “Se vuoi vedere una balena” a molti bambini in libreria e aver studiato la loro reazione è stato formativo e importante.

Ecco altri libri eleganti e per nulla distanti: “Gli Uccelli” di Albertine e Zullo (Topipittori) – che io considero un silent book – , “Inventario degli alberi” di Tchoukriel e Aladjidi (Ippocampo), “Virginia Woolf, la bambina con il lupo dentro” di Arsenault e Macklear (Rizzoli), “L’anatra, la morte e il tulipano” di Erlbruch (e/o), “Il leone e l’uccellino” di Dubuc (Orecchio Acerbo), “In cerca del vento” Yankey (Donzelli), …

 

Accanto a questi albi ce ne sono altri meno riusciti che hanno ceduto a quella vena malinconica e nostalgica, o hanno invitato la poesia ad entrare perdendo di vista la realtà e l’emozione che il bambino prova nel vivere il presente e nel riconoscersi tra le pagine di un libro.

Ci sono poi albi che dichiaratamente vogliono arrivare tra le mani dell’adulto, e che solo nelle librerie per ragazzi trovano asilo, perché in Italia crediamo ancora che l’illustrazione non sia arte e che sia adatta solo al pubblico dei più piccoli.

C’è tanto lavoro da fare come librai, ci sono molti preconcetti da abbattere e nuove frontiere da oltrepassare, ci vuole perciò competenza, passione e rispetto.

6 pensieri su “Libro elegante, libro distante?

  1. Questa riflessione mi tocca nel profondo. Ieri sera ho sfogliato a lungo e letto con attenzione uno dei libri “distanti” da te presentati. E la mia testa ha cominciato a vagare e a ragionare su tutti questi temi da te esposti. E’ indubbio che ci sono libri più vicini al mondo bambino, ed altri più rarefatti che richiedono un intervento importante dell’adulto che legge. Io personalmente preferisco i primi, ma non tengo distanti i secondi. Grazie per aver condiviso questo punto di vista e le tue esperienze in libreria.

    1. Cara Francesca, grazie per aver lasciato qui il tuo commento. Devo confessarti che non è stato
      facile scrivere questo articolo, sebbene ogni giorno mi imbatta in una riflessione al riguardo.
      La cosa più difficile, quando si scrive di libri, è non “fare di tutta l’erba un fascio” creando dei pregiudizi nel lettore; non potevo però nemmeno sottrarmi da un argomento così sentito e spinoso. L’intento, come sempre, è quello di poter dare un senso allo sguardo del lettore e al libro che ha tra le mani, e le tue parole mi fanno ben sperare di aver dato larghi margini per una riflessione personale. Grazie quindi per aver condiviso la tua esperienza con noi.

      1. Ciao Alessia. Complimenti per l’articolo, lo trovo molto sincero e aperto e soprattutto coraggioso. Sono molto d’accordo con te sulla poesia in certi albi illustrati. Naturalmente tanti libri li scelgono e comprano gli adulti , o per loro o per regalare, quindi parlare in termini assoluti “per bambini” con l’albo illustrato è difficile. Come autore e illustratore ero completamente aperto ai libri “”difficili”” e poetici (bisogna definire la poesia certo) per i bambini ma devo ammettere che ho variato la mia posizione da quando leggo i libri come papá, vedo lo sguardo di confusione con le metafore adulte e la nostalgia. Grazie di nuovo per aprire l’interessantissimo dibattito. M.

        1. Caro Miguel, grazie per aver lasciato il tuo commento. Sentire la voce di un illustratore è molto interessante. Da questo articolo, che tu definisci coraggioso, è nata un’animata discussione
          tra editori, genitori, specialisti del settore, insegnanti, librai…Non era mia intenzione aprire il vaso
          di Pandora, ma evidentemente l’argomento è stato molto sentito, il che dimostra che ci sono
          ancora molti punti su cui riflettere. Indubbiamente sentire il tuo parere mi ha fatto riflettere. Mi sono infatti chiesta se, così come per i testi, esista un confine ideologico, più o meno evidente, tra un tipo di segno “adatto” ai bambini e un segno definito più adulto, e se si, come si comporti l’illustratore davanti a questo confine. Nell’articolo parlo del fatto che forse per le immagini c’è più libertà, ma osservando le tue illustrazioni, mi sono risposta che non deve essere sempre così facile; a pensarci bene, in effetti, quando sfoglio un albo davanti ad un genitore in libreria, la prima cosa che colpisce sono proprio le ilustrazioni. Se vorrai ancora commentare ne sarò lieta.

  2. Io penso che in molti genitori c’è una sorta di paura di non azzeccare, hanno paura che il figlio/a non capisca perché in efetti con certi libri capita. Ma l’esperienza di condivisione che si crea con un libro è molto importante, anche quando il parere finale non è proprio positivo. C’è un tipo di linguaggio con il quale si va sul sicuro come dici tu Alessia, per esempio con Babalibri, fantastici, , ma è vero che la varietà di linguaggi sono un patrimonio importante da mettere a disposizione dei più piccoli perché si sviluppi in loro un gusto autonomo, un esercizio che manca soprattutto agli adulti. Capita che un libro non compia “il suo lavoro”, non completamente, si può dire che ha fatto “cilecca” nel testo o nelle immagini, ma può darsi che qualcosa si salvi o si trasformi. Non è l’esempio giusto ma quando ho letto per la prima volta “Uccelli” a mio figlio, non credo lo abbia capito, e io non gliel’ho spiegato, ho lasciato semplicemente che osservasse e ascoltasse, l’è piaciuto, forse però ora che è cresciuto di due anni lo riguarda e lo apprezza per motivi diversi. Con “Il mio gatto è proprio matto”, mi ha chiesto se anche a me fosse mai capitato di sbagliare completamente, convinto che l’autore abbia davvero sbagliato il personaggio. Si è fatto delle belle risate e da questo “errore d’interpretazione”, è nato un gioco che tutt’ora si fa nella nostra casa e cioè quello di parlare con i termini invertiti, si al posto di no, bianco al posto di nero o papà al posto di mamma, ecc, e si ride perché la cosa fa diventare matti, ma è grazie a quel libro che la cosa è nata. Non c’è dubbio, ci sono anche libri inadeguati pur essendo bellissimi, ma l’empatia che sanno creare i bambini è molto più libera della nostra, vale la pena che esperimentino anche quelli “difficili”anche quelli che hanno scelto mamma o papà. Sono sempre e comunque un alternativa a quello che entra nelle case prepotentemente senza che nessuno lo scelga. Come illustratrice-mamma credo di fare tutto pensando a mio figlio, e ascolto con molta attenzione i suoi commenti, ma non necessariamente seguo i suoi consigli, sapendo benissimo che ne sarebbe molto soddisfatto.

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