Memorie

“La Storia siamo noi
siamo noi padri e figli
siamo noi
bella ciao
che partiamo
la Storia non ha nascondigli
la Storia non passa la mano
la Storia siamo noi
siamo noi questo piatto di grano”

Francesco De Gregori

°°°
Mi è davvero difficile pensare ad un’immagine più bella di un piatto di grano per descrivere questa umanità, fatta di padri e di figli, di madri e di figlie, di infiniti ricordi e memorie. Il grano diventa farina e la farina pane. Le storie sono come il pane. La storia è fatta di storie, della memoria degli altri, che ogni giorno viene macinata nel grande mulino dell’esistenza. La farina viene passata al setaccio perché le storie sono fatte di parole precise. Cosa passa? Cosa resta? Ogni bambino si nutre di storie, sta a noi fare del buon pane.

27 Gennaio, giornata della memoria.

Non mi sono mai piaciute le giornate dedicate a qualcosa o a qualcuno; nutro forse più simpatia per i santi e i beati del calendario gregoriano che se ne stanno discreti sotto al numero del giorno e ci si fa caso solo se ci si sofferma a lungo sull’agenda.  Mi chiedo se sia giusto forzare la mente dei bambini ad insinuarsi in un grande dolore. Perché è questo che il 27 gennaio si ricorda, un grande dolore.


Dicono che il dolore fisico si dimentichi in fretta e che il dolore dell’anima può, al contrario, non andarsene mai. Ogni persona è diversa, ognuno coltiva la sua memoria con strumenti differenti e ciò che alla fine si raccoglierà, dipenderà da quanto spazio si è concesso al deserto, quanto alle erbe selvatiche, quanto alla terra arata. Il dolore è difficile da spiegare, difficile da ricordare, difficile da annotare. Come si ricorda qualcosa di cui non si ha memoria? Mia nonna ha vissuto la guerra, ma preferisce ricordare il 25 di aprile. Festeggia la gioia; certo, in quella gioia c’è anche il dolore dei morti, ci sono i volti cambiati di chi è tornato dal fronte scalzo e logoro, c’è la pena di giorni lunghi e bui. Eppure lei festeggia quel giorno tutti gli anni.

In un certo senso tutti i libri contengono storie di cui non possiamo avere memoria, siano esse storie inventate o verosimili o davvero accadute. Ci si immerge nelle storie senza farsi troppe domande, ci si tuffa nell’immaginario di qualcun altro per trovare qualcosa o forse niente; lo si fa nei momenti più disparati, quasi sempre per piacere. Invece i libri della giornata della memoria ti dicono  che devi ricordare, capire, comprendere, anche se poi in tutti i giorni dell’anno alcuni di loro (guarda caso proprio quelli non editati ad hoc) restano “soltanto” romanzi imperdibili, indimenticabili, di altissima letteratura.

Mi ritrovo a scrivere queste cose perché in prossimità della giornata della memoria, nel mondo dell’editoria per ragazzi, è tutto un fiorire di bibliografie. Penso alla memoria dei bambini, a quella superficie porosa e lucente che ora dopo ora ingabbia ricordi e informazioni. La mia memoria della shoah è un collage di libri, di film, di documentari, di pagine di sussidiario, di esami di storia. Cosa sia riuscita a trattenere davvero di tutto questo non sono sicura di saperlo. Io sento solo un indicibile dolore, un’eco lontana e profonda mi riporta indietro, a visitare ricordi non miei e ad abitare stanze gelide. Forse l’unica cosa che riconosco in questo labirinto oscuro è la consapevolezza di lottare per un futuro diverso. La memoria forse ha senso solo se mescolata al presente, solo se davvero ne abbiamo fatto tesoro.

C’è chi dice che non può bastare una giornata all’anno, che queste cose vanno ricordate più spesso. Si aprono dibattiti e si dicono cose più o meno scontate. Come libraia vedo i bambini e mi interrogo su come debba essere affrontato un così grande dolore.

Shaun Tan – L’approdo, casa editrice Tunuè.
E’ giusto che sappiano, dite. E cosa vuol dire sapere?

Il dolore in alcuni crea silenzio, in altri mille domande.
Molte case editrici fanno uscire, ogni anno in questo periodo, libri a tema, albi illustrati e narrativa. La televisione proprone una programmazione di film d’autore, documentari, dibattiti.  A volte mi sento soffocare perché c’è troppa esposizione, troppo poco pudore, un troppo che pare compensare un niente.

Possiamo cercare un’alternativa?

Non cadere nelle retorica nello scrivere un articolo come questo è difficile, ed è altresì complicato non essere fraintesa o dare l’impressione di non dare importanza alla storia, o peggio, alla memoria. Non voglio buttare all’aria quel piatto di grano, non voglio gettare il pane buono che se ne potrebbe sfornare; tento di capire, di trovare un modo diverso di passare attraverso un varco molto stretto, di accogliere i bambini celebrando la vita.

Non sto fuggendo dal tema, non sto dicendo di non raccontare… Ecco, affiora questa parola a salvarmi…

Raccontare

“Il narratore” di Saki lo sapeva bene, non si può raccontare accogliendo una sfida: si racconta quando c’è qualcuno disposto ad ascoltare, e sopratutto quando ne sentiamo l’urgenza o il desiderio. Inutile e dannoso raccontare per forza. Raccontare è un gesto d’amore, dice all’altro “tu esisti”. Raccontare è ricordare, è usare le nostre parole annodate a quelle di qualcun altro, è memoria del mondo, di noi, del piccolo, del grande, di ciò che abbiamo solo immaginato e che pure ci appartiene.

Come raccontare dipende da ciascuno di noi.

Forse non possiamo aprire un libro e poi far cadere quelle storie nel vuoto per tutto il resto dell’anno; che cosa resterà delle domande, delle richieste, dei dubbi, e delle paure che emergeranno quando le storie si saranno sedimentate a distanza di tempo? Perché è questo che fanno le storie: restano.

Aprire il libro della Shoah vuol dire accogliere il dolore, non lasciarlo cadere, non abbandonarlo.
Forse bisogna raccontare piano
, sussurrare, senza mai dimenticare che non tutti i bambini hanno spalle forti o una famiglia in grado di capire, accogliere e comprendere il dolore. Se penso a quanto sia diventato difficile parlare della morte, sento quasi paradossale la giornata della memoria. La Storia legittima, in questo caso, il fatto di parlare di morte? Anzi di milioni di morti…
Del resto non potremmo accogliere il dolore senza la parola morte, senza fare spazio al grande distacco, all’assenza, a quel non esserci più, a volte così prematuro.

Velluto, storia di un ladro di Antonio Marinoni e Silvana D’Angelo, Topipittori.
La vita ci prepara se impariamo ad ascoltare.

C’è una minuscola dose di morte in ogni quotidianità, è come un antidoto: affrontare le piccole perdite di ogni giorno per saper accogliere e affrontare quelle più grandi. Abbiamo smesso di parlare della morte, abbiamo rammendato gli strappi del presente con manuali di psicologia o con libri senza vere storie. Che effetto farà la Shoah su dei bambini che non hanno avuto i mezzi per condividere la morte e  il dolore attraverso le storie? Ma non le storie sulla morte, sul dolore, sulla perdita…le storie e basta.

Per questo vorrei presentarvi una piccola bibliografia di storie sussurrate, di ricordi, di assenze. Non ci siamo allontanati dalla giornata della memoria, non la vogliamo eludere, l’abbiamo solamente affrontata in modo diverso, pensando ai bambini, alla loro voglia di sapere, di fare tesoro, di mettere a fuoco nel profondo il senso della Storia. Non lasciateli soli mentre leggono, sedetevi accanto a loro, non relegate questi libri solo al mese di gennaio, restate al loro fianco anche dopo il 27 gennaio. Tenete vicina la vostra valigia fatta di pezzi di storie, di ricordi reali e non, cucite quei pezzi insieme a quelli che affioreranno dalle loro labbra, fatene una bella coperta e sdraiatevici sotto, al caldo.

Breve bibliografia della memoria

1. L’asinello d’argento di Sonya Hartnett, Rizzoli.
Un giovane soldato sperduto, due sorelle, un fratello maggiore e quattro storie su un asinello. In un bosco francese si intrecciano storie di pace, di coraggio, di lealtà.

2. I figli del re di Sonya Hartnett, Rizzoli.
Una storia antica e misteriosa che si intreccia a quella dell’Inghilterra della seconda guerra mondiale. Due bambine, un fratello coraggioso e uno zio saggio che narra ai nipoti cosa sia il potere.

3. Il muro. Crescere dietro la cortina di ferro. Di Peter Sis, Rizzoli.
Una biografia densa, ricca, sfaccettata. La storia di un bambino che diventa un giovane uomo inseguendo un’idea di libertà.

4. The arrival, di Shaun Tan.
Un lungo libro senza parole che racconta la speranza racchiusa in ogni viaggio. Il coraggio di lasciare, la gioia di ritrovare, il riconoscersi negli occhi dell’altro.

5. Velluto, storia di un ladro, Topipittori.
Cosa siamo senza ricordi? Da dove veniamo? Quale casa ci ha visto nascere? Per ritrovare la propria memoria ci si mette in viaggio, si ascoltano le storie di oggetti e persone, ci si intrufola con delicatezza in altre vite per rubare un po’ della loro bellezza. La memoria come ricerca del sè. Una casa che racconta di una famiglia, una famiglia che riempie una casa di opere d’arte e di profumi. La propria storia personale dentro a quella del mondo.

6.  Corri ragazzo, corri di Uri Orlev, Salani.
Nella fuga continua e senza riposo del giovane Yoram, si può perdere il senso della memoria. Vivere il presente sembra l’unica cosa realmente possibile.

7. L’isola in via degli Uccelli di Uri Orlev, Salani.
La memoria come attesa, come fiamma che tiene vivo un presente che dà fiato al futuro. L’impresa di un bambino di dodici anni che sopravvive da solo nel ghetto di Varsavia. Un libro che resta resta nel cuore.

8. La diga di David Almond e Levi Pinfold, Orecchio acerbo.
La storia rende omaggio ad una vicenda di morte e rinascita attraverso il rito che Mike e Kathryn Tickell, padre e figlia e musicisti folk, celebrarono prima che l’acqua sommergesse la valle.

9. Bambole giapponesi di Roomer Godden, Bompiani.
In Rumer Godden la voce è autentica, mai banale, le situazioni che descrive non sono mai prive di controluce, di momenti difficili, di quella durezza che la vita degli emarginati o dei diversi porta quasi sempre con sé.

10. Sangue dal naso e altre avventure di Nadia Budde, Topipittori.
Non è affatto scontato ricordare la propria infanzia con i sapori, gli odori, le meravigliose epifanie nascoste dentro certi armadi o certi cassetti, la voce dei nonni, le loro parole, ciò che credevi vero o ciò che invece immaginavi lo fosse.

 

Un pensiero su “Memorie

  1. Nella mia scuola primaria, per il terzo anno consecutivo, in ognuna delle dieci classi, dalla prima alla quinta, entreranno dei giovani ragazzi, la cui età va dai quindici anni ai ventitrè, ragazzi di una associazione culturale giovanile, che racconteranno e parleranno con gli alunni più grandi della shoah e giocheranno con i più piccoli per scoprire con loro la bellezza della diversità. Sono il volontariato culturale e questa è una delle loro offerte. Ogni anno preparano narrazioni e giochi. Lavorano senza cercare alcuna visibilità e questo lo trovo semplicemente straordinario.
    Sono studenti delle superiori e universitari di svariate facoltà, sono ragazzi che crescono nelle scuole della nostra città, tra tutte le contraddizioni che caratterizzano questo nostro faticoso andare.
    Con tutta l’energia della loro giovane età, con i loro sorrisi, con la loro serietà conquistano sempre i nostri alunni che vedono in loro ” dei fratelli grandi” con cui si parla di cose serie e importanti, “dei fratelli grandi” con cui si può anche giocare. L’immagine di un ragazzo o di una ragazza che attraversa un corridoio con un bambino di prima elementare con le gambe serrate intorno ai loro fianchi e un gran sorriso in volto, non è inconsueta. Per noi insegnanti sono esempi di cittadinanza di cui andar fieri, per i genitori presenze ormai familiari e rassicuranti. Non dimenticare, specialmente in questo momento della nostra storia, è quanto mai importante, raccontare è indispensabile, specialmente quando il tempo fa sì che i testimoni siano sempre meno.

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