Non fino in fondo – Mezzacalzetta dove sei?

Dedicato ai miei affezionati, premurosi e attenti lettori.

Autore: Benjamin Chuad
Editore per l’Italia: Terre di Mezzo
Traduzione di Rita Dalla Rosa

mezzacalzetta-dove-sei-copertinaFarewell Floppy è l’albo di Benjamin Chaud che con il titolo di “Mezzacalzetta dove sei?” è da poco arrivato sugli scaffali di Radice-Labirinto ad opera della casa editrice Terre di mezzo; un titolo, questo, che come libreria acquistavamo già da tempo in lingua originale dal catalogo della Tate Gallery. Siamo stati dunque lieti di vederlo tradotto nella nostra lingua e, senza indugio, ne abbiamo prenotate cinque copie al rappresentante che con entusiasmo ce lo ha mostrato tra le novità di primavera.
Poteva essere un successo e forse, fuori da Radice-Labirinto, lo è, ma a noi è bastata una sola lettura per lasciarci con l’amaro in bocca, e tutto per colpa di un aggettivo: “imbecilli”.
Come librai non c’è nulla che detestiamo maggiormente di una cattiva traduzione perché crediamo che la musicalità e il senso delle parole siano parte integrante del successo di una buona storia.
Non scambiate la nostra pignoleria per perbenismo: nel giusto contesto la parola “imbecille” può essere usata senza problema, ma in “Mezzacalzetta dove sei?” il contesto non è affatto appropriato.

La storia narra di un bambino che si vuole sbarazzare del suo coniglietto domestico. Mezzacalzetta, così si chiama il coniglio, è una mezzacalzetta di nome e di fatto e questo perché non sa giocare agli indiani, non corre veloce, è inutile a calcio e anche se partecipa volentieri alle avventure del suo padroncino, è un vero e proprio peso morto, e il bambino, essendo ormai grande (dalle illustrazioni potrebbe avere cinque anni), non può più permettersi di accudire un animaletto “da piccoli”.

mezzacalzetta-dove-sei-illustrazione-franceseAnche sulla traduzione del titolo si potrebbe discutere.
Il testo originale francese è “Adieu Chaussette”, “Addio Calzetta”, diventato l’inglese “ Farewell Floppy” ovvero “Addio Floppy”, mentre in italiano la casa editrice ha deciso di intervenire drasticamente consegnando al lettore un “Mezzacalzetta dove sei?”. Nella versione francese e inglese, il titolo preannuncia una separazione (anche se non sappiamo ancora di che tipo), mentre il titolo italiano pone l’accento sul fatto che qualcuno si è smarrito (cosa per altro non vera dato che il coniglio della storia viene abbandonato di proposito). Forse gli editori hanno temuto che “Addio Mezzacalzetta” alludesse alla morte del coniglio? Se così fosse saremmo davanti ad un editore che messo alle strette da un titolo ambiguo, preferisce una traduzione inesatta e meno appropriata pur di non penalizzare le vendite del libro. Al contrario, il titolo scelto da Benjamin Chuad è volutamente allusivo e non solo crea un divertente contrasto con il lieto fine della storia, ma contribuisce ad aumentare il patos della narrazione quando il protagonista, pentito di aver lasciato nel bosco il povero coniglietto, si mette alla sua ricerca.
Trovo invece vincente la scelta del nome Mezzacalzetta che non solo risulta un appellativo divertente, ma rimane fedele al “Chaussette” originale, calzetta appunto. Interessante anche il nome scelto per la traduzione inglese, “Floppy”, tipico nomignolo per il pupazzo dei bambini, che significa letteralmente “molle”, “floscio”, “flessibile”, tutti aggettivi adatti alle orecchie penzolanti, lunghe e morbide del coniglio in questione e altrettanto adeguati per descrivere un paio di calzini. Inoltre il nome “Floppy” contiene la parola “flop”, fallimento, e dalla storia non emerge certamente che Chaussette sia un coniglio intraprendente. Rimane invece un mistero perché nella versione originale l’autore abbia ritenuto di dover specificare che Chaussette sia un “lapin buffle”, un “coniglio bufalo”, che oltre ad essere una specie inesistente non ha alcun rimando con la storia o con la forma delle orecchie (unica analogia potrebbe essere la forma ondulata e ricadente delle corna del bufalo e le orecchie di Chaussette. Ma risulta decisamente forzata dato che le corna non sono orecchie). L’aggettivo “buffle” deve essere sembrato strambo anche a Taylor Norman, la traduttrice inglese, che di fatto l’ha omesso dalla versione anglosassone, mentre Rita Dalla Rosa ha fatto la scelta, a mio avviso infelice, di lasciare lo strano appellativo nell’albo italiano: Mezzacalzetta era già una traduzione riuscita senza l’ausilio di “coniglio bufalo” che risulta inutile e fuorviante. Mi domando come una traduttrice non possa porsi l’urgenza di certe questioni, visto che se la pongono non solo una libraia, ma anche molti lettori intervistati.

Ma torniamo al punto saliente che ci ha fatto inserire l’albo di Benjamin Chuad nella nostra nuova rubrica “Non fino in fondo”. Perché il contesto non si addice all’aggettivo “imbecilli”?
Il tono dell’albo è divertente e la vicenda narrata in prima persona è certamente accattivante. In puro stile Benjamin Chaud (autore, tra gli altri, di “Non ho fatto i compiti perché” e “Una canzone da Orsi”) questo albo riesce ad attirare da subito l’attenzione del lettore; e se le parole del protagonista sono di disprezzo verso il proprio coniglio domestico, le illustrazioni spingono il lettore ad amare in modo istintivo il paffuto coniglio dalle orecchie flosce e a parteggiare per lui.

mezzacalzetta-dove-sei-illustrazionePer assecondare il doppio gioco tra testo e tavole illustrate, il sapore delle parole è deciso e asciutto; le parole scelte da Benjamin Chaud sono finalizzate alla costruzione di un racconto che ci restituisce l’immagine di un bambino arrogante e un po’ sbruffone.
I cinque anni sono, in effetti, un’età piuttosto turbolenta: si frequenta l’ultimo anno di asilo, ma non si è ancora abbastanza grandi per andare a scuola; si prova ad affermare se stessi sfidando ora i compagni, ora i genitori; si acquista una visione più lucida sulle proprie capacità, si prende consapevolezza dei propri stati d’animo e si ha certamente più chiara la natura dei rapporti affettivi. In “Mezzacalzetta dove sei?” Benjamin Chaud dipinge un cinquenne colto sul fatto, descrivendocelo nei suoi tratti meno gradevoli, così da creare nel lettore, specie nelle prime pagine, una vera e propria antipatia per il protagonista, aumentando invece l’empatia con la povera bestiola che sta per essere abbandonata nel bosco più nero.
Si potrebbe pensare a questo punto che il contesto sia più che giusto per sfoderare la parola “imbecilli”, e forse lo ha pensato anche la traduttrice, ma non è così.

Il testo originale della parte da noi incriminata recita:

“D’abitude, quand on se promene, on fait les andouilles”

La traduzione letterale sarebbe:

“Di solito, quando passeggiamo, facciamo gli sciocchi”

Andouilles è un termine affettuoso per dire che si fa un po’ i pazzerelli o gli sciocchini, provocando l’ilarità degli altri. Lo si usa legato alla risata senza motivo.

In inglese è diventato:

“Usually, when we took our walks, we went a little crazy”

Di cui la traduzione letterale è:

“Di solito, quando facevamo le nostre passeggiate, andavamo un po’ fuori di testa”

“To go crazy” vuol proprio dire “impazzire”, “ammattire”, “uscire di testa”, e “a little” vuol dire “un po’”.

Rita Della Rosa invece traduce:

“Di solito, durante le nostre passeggiate, facciamo gli imbecilli”

Vediamo dunque cosa significa imbecille.

imbecille agg. e s. m. e f. [dal lat. imbecillis (variante del più com. imbecillus) «debole» fisicamente o mentalmente]. – Chi, per difetto naturale o per l’età o per malattia, è menomato nelle facoltà mentali e psichiche. Più spesso, nel linguaggio fam., titolo ingiurioso, rivolto a chi, nelle parole e negli atti, si mostra poco assennato o si comporta scioccamente, senza garbo, da ignorante, in modo da irritare: è un perfetto i.; non fare l’i.!; taci, imbecille! ◆ Dim. imbecillòtto; accr. imbecillóne (f. -a).

mezzacalzetta-dove-sei-illustrazioniCerto il nostro protagonista si comporta scioccamente e ci irrita il suo atteggiamento noncurante nei confronti della bestiola, ma quando Benjamin Chaud usa “andouilles” nel testo originale la riferisce a entrambi i protagonisti, volendo sottolineare il fatto che un tempo, i due amici si divertivano molto a passeggiare insieme nel bosco, facendo piccole follie. Il termine imbecille invece, come riporta il Treccani, è diventato nel lessico famigliare un titolo ingiurioso e fortemente dispregiativo. Il fare un po’ i matti di Benjamin Chaud ha assunto, in italiano, un valore eccessivamente denigrante, rimandandoci alle bravate di due imbecilli. Non sentite anche voi la stonatura? Non vi sembra di dire una volgarità in un contesto dove nulla ci porta in una dimensione di strada o di bagarre adolescenziale? A chi vuole stare simpatica la traduttrice usando un simile termine per descrivere i giochi un po’ matti di due bambini? Al bambino treenne, quattrenne o cinquenne che leggerà l’albo di Benjamin Chaud?
Vi assicuro che, come librai, siamo stati così in imbarazzo nel leggere ad alta voce questo passaggio che di fatto, per un eccesso di pudore, abbiamo smesso di proporre “Mezzacalzetta dove sei?”.

Il traduttore, e l’editore in primis, dovrebbero avere cura delle parole, assaporarle una ad una quando decidono di pubblicare un libro, dovrebbero farsi scorrere nelle orecchie – non più acerbe né tanto meno floppy – le note della nostra bella lingua e sentire che sapore lasciano dietro di sé.
Come si fa a non accorgersi che la parola “imbecilli” è del tutto inappropriata a questo contesto?
Dobbiamo smettere di considerare i lettori bambini delle mezzecalzette o dei mezziragazzetti un po’ bulli che si compiacciono quando il protagonista di un libro usa parole volutamente ammiccanti per far colpo su di loro. Ci vuole dignità nella scrittura e nelle traduzioni, ci vuole cura e buon senso; bisogna entrare nello spirito del testo e non fraintendere un tono dissacrante e divertente con la volgarità.

Gianni Rodari diceva:

“Diamo ai bambini parole belle perché le belle parole formano i bei pensieri” (da La Grammatica della fantasia, Einaudi)

Ecco: Terre di mezzo con Mezzacalzetta ha decisamente perso l’occasione di regalare ai bambini parole belle. Chissà, forse non ha riletto, forse non ha prestato attenzione, in ogni caso, ahimè, non è la prima volta che Terre di Mezzo incappa in pessime traduzioni pur consegnandoci libri molto belli (penso, tra tutti a Cane Nero). Un vero peccato perché l’albo di Benjamin Chaud, per quanto non sia tra i suoi più originali, contiene una storia (e sappiamo bene quanto oggi ci sia bisogno di storie nell’albo illustrato!), e delle illustrazioni che, come in altri libri di questo autore, si richiamano tra loro senza la didascalia del testo (molto bella in questo senso l’immagine del bambino che torna a casa correndo con il suo coniglio sulla testa che rimanda una delle prime tavole in cui il protagonista si immagina sul dorso del coniglio in partenza per nuove avventure).

Cosa ne sarà delle parole se nemmeno i libri se ne prendono più cura?

9 pensieri su “Non fino in fondo – Mezzacalzetta dove sei?

  1. Concordo pienamente. Bisogna consegnare parole belle e storie belle…..terre di mezzo è un’ottima casa editrice, la fabbrica delle parole, la valle dei mulini…libri meravigliosi dove ogni parola è al.posto giusto. È un peccato che qui si perdano così…

  2. Chiedo scusa ma da traduttrice sono proprio saltata sulla sedia. Inutile e fuorviante? Strano appellativo? L’invenzione della razza di coniglio è una scelta precisa dell’autore. Non è un coniglio qualsiasi, è un coniglio inventato che può piacere o no; ma la traduttrice inglese ha fatto molto male a eliminarlo. Quanto al giudizio complessivo sulla traduzione: basta la scelta sbagliata di ‘imbecille’ (che non è una brutta parola, come ‘sciocchino’ non è una parola bella) a rendere tutta la traduzione addirittura terribile? La ringrazio comunque per l’attenzione dedicata alla traduzione, sempre gradita e segno di una lettura veramente attenta.

    1. Gentile Valentina, grazie di leggerci con tanta passione. Purtroppo devo dissentire con te sul fatto che una singola parola non incida su una buona traduzione, specie se come in questo caso è così forte e significativa, e specie se stiamo parlando di un albo illustrato che per sua natura presenta poco testo. Come hai potuto leggere nell’articolo, io e il mio collega siamo davvero molto in imbarazzo quando giungiamo alla lettura della parola “imbecilli” e se tu provassi la lettura da lata voce ti accorgeresti come non si tratti di un’inezia. Concordo con te sul fatto che neppure ” sciocchino” sarebbe stata una parola degna di un libro, ma si potevano trovare davvero altre soluzioni. Per quanto riguarda i compiti del traduttore è nata una discussione molto interssante sulla nostra pagina Fb e spero che tu la possa leggere. In poche parole si discuteva sul fatto che tradurre non è mai riportare alla lettera un testo, ma adattarlo al contesto e se necessario interpretarlo. Annosa è la questione come tu ben saprai e diverse sono le scuole di pensiero a tal proposito, e continua è la ricerca che si porta avanti in questo campo così affascinante e poco conosciuto. Io continuo ad apprezzare la scelta della traduttrice inglese anche se per te è poco corretta. Capisco perfettamente il tuo discorso, ma avendo letto la storia a più bambini nessuno, e dico nessuno, ha capito perché il protagonista definisca il suo coniglio un coniglio bufalo o perchè la bambina alla fine del libro specifichi che Mezzacalzetta sia un coniglio ariete ( razza in questo caso realmente esistente). Non so se in Francia questa razza di coniglio domestico sia così diffusa da suscitare immediata ilarità nei bambini che la sentono storpiare in bufalo, ma ti assicuro che in Italia la battuta non la capisce nessuno. Ha dunque senso lasciarla perché l’ha scritta l’autore? In fondo ci si è presa una bella licenza anche con il titolo, non trovi? So che a questo punto si aprirebbe un dibattito molto acceso e credimi, non ignoro la qualità del tuo ragionamento, coerente e fedele con l’autore fino alla fine. Certamente è una linea di pensiero più che valida. Non voglio sembrarti presuntuosa mentre sollevo dei dubbi sulla scelta del Signor Benjamin Chaud, ma come libraia apprezzo i testi coerenti e coesi quindi in questo caso anche una traduzione bella ma infedele.

      1. Alessia, se dal punto di vista narrativo la scelta di Chaud di pasticciare con le razze può essere poco convincente o efficace, non gli si può imputare di forzare l’analogia tra orecchie e corna, che può non piacere, ma è la fonte del nome delle razze, nella sua lingua come in Italiano.

    2. L’invenzione della razza di coniglio è senz’altro una scelta precisa dell’autore, che rimanda alla razza reale: non è il coniglio a essere inventato (al limite, ma non è di questo che si sta discutendo, l’intera storia si potrebbe leggere come se Chaussette fosse un pupazzo a forma di coniglio e non un coniglio) ma la razza. Il problema sorge proprio perché, quale che sia il meccanismo del rimando in Francese, questo non funziona in Italiano. Può bene essere che la storpiatura iniziale di coniglio ‘montone’ in coniglio ‘bufalo’ sia perfetta nella lingua d’origine, ma in Italiano non regge allo stesso modo quella di coniglio ‘ariete’ in coniglio ‘bufalo’, per i motivi che ho provato a spiegare nel mio post di ieri. Per questo concordo con Alessia sul fatto che ‘bufalo’ sia inutile e fuorviante, in Italiano.

  3. Buonasera,

    grazie per l’attenzione e il tempo dedicati al nostro libro. Senza entrare nel merito di ogni singola osservazione, tengo a precisare che a Terre di mezzo, in realtà, mettiamo molta cura nelle traduzioni, nella loro revisione e nella scelta delle singole parole. Proprio per questo, per esempio, nel testo è rimasto il “coniglio bufalo”, che come sottolineate è “una specie inesistente”: infatti si tratta di un “errore” del bambino protagonista. Solo alla fine della storia scoprirà che Mezzacalzetta è in realtà un “coniglio ariete”, così chiamato proprio per la somiglianza delle sue orecchie flosce con le corna dell’ariete (e del bufalo). Mi pare che la traduzione sia rispettosa delle intenzioni dell’autore e che l’attinenza alla vicenda narrata ci sia.
    Per quanto riguarda il termine “imbecilli”: è chiaro l’utilizzo scherzoso che ne viene fatto nel libro (“Di solito, durante le passeggiate, facciamo gli imbecilli.
 Io gli corro intorno gridando. Oppure mi nascondo per spaventarlo, e funziona”). Non ritengo che la parola “imbecilli” qui abbia un significato “ingiurioso e fortemente dispregiativo”, al contrario. E poi anche “crazy” – se decontestualizzata – potrebbe ricadere in quest’ambito: stando a Treccani e Garzanti, i significati principali della parola “pazzo” sono “malato di mente” e “folle”. Non esattamente dei complimenti, se usati in determinati modi. Detto questo, si può sempre migliorare, ed è quello che a Terre di mezzo cerchiamo di fare ogni giorno. Grazie ancora e buon lavoro.

    1. Gentile Davide Musso,
      sono felice che lei sia intervenuto, ma continuo a nutrire seri dubbi sulla scelta della parola “imbecilli”. Se per strada qualcuno mi tampona provocando in me una reazione di rabbia, probabilmente uscirei dalla macchina dando dell’imbecille a chi mi ha tagliato la strada; se gli dicessi “sciocchino” mi sentirei davvero ridicola. Questo per dilre che ogni parola ha il suo peso e la sua sfumatura di significato, e imbecille non è scherzosa, ma fortemente connotata come parola ingiuriosa e offensiva, e seppure nel libro è chiaramente inserita in un contesto divertente (lo abbiamo detto nell’articolo) risulta estremamente pesante e fuori luogo. Del resto credo abbia letto i vari commenti all’artcolo, non solo qui ma anche sulla pagina Fb, e purtroppo non siamo gli unici ad avvertire la stonatura, anzi molti lettori hanno ammesso di modificare il testo durante la lettura con i bambini. Io, lo ripeto, non penso sia un eccesso di perbenismo, ma una questione di musicalità e di adeguatezza al tenore della storia. Lei dice che anche “crazy” decontestualizzato può assumere il seignificato di fuori di testa, ma il punto è che nel caso della traduzione inglese la parola non è affatto decontestaulizzata e assume decisamente un tono più lieve di imbecilli. Sul “coniglio bufalo” la questione è molto più delicata e ne ho fatto cenno nella risposta al commento precedente. Come librai apprezziamo molto le vostre scelte edtoriali e più di un consiglio di lettura di questo sito tratta dei vostri albi; tuttavia, come librai, riteniamo che alcune traduzioni non siano sempre felicissime (penso per esempio ad alcune parti del magnifico albo Cane Nero di levi Pinfold). E’ molto difficile, mi creda, esporsi in questo modo con un consiglio di lettura e so di aver sollevato un polverone, ma sono convinta che una critica costruittiva sia quanto mai utile in questi tempi di grande produzione di libri per bambini e ragazzi. Io poi sono solo una libraia che sebbene abbia dedicato molti anni allo studio della lettaratura e continui a dedicarne, non ha la presunzione di avere ragione. Espongo però il mio pensiero perché credo nella libertà di pensiero e di parola, perché essere a contatto costamemente con i lettori, grandi e piccoli, con le maestre, le educatrici e gli studenti mi ha fatto capire che oggi c’è molto bisogno di confrontarsi seriamente sulla letteratura per l’infanzia. Quindi grazie di aver commentato, di aver reso questo dialogo intenso e bello e per aver messo un mattoncino in più per la costruzione di un dibattito nuovo e vero.

  4. Premesso che da lettrice (e da libraia) ho grande stima di Terre di mezzo e che, nello specifico della letteratura per i bambini, la collana Acchiappastorie è , a mio avviso, un’ottima selezione, non mi trovo d’accordo su quanto scrive Davide Musso . Prendo l’occasione di questo post per rispondere, a un tempo, a Valentina Daniele.
    Quanto a ‘imbecilli’, pur condividendo di massima la posizione di Alessia, trovo che neanche l’edizione della Chronicle Books renda giustizia alla sfumatura lieve e scanzonata del testo narrativo. Non sono una traduttrice professionista, ma quel minimo di intuizione per le lingue che mi deriva dal contesto in cui sono nata e cresciuta, mi suggerisce che qualcosa come ‘fare il pagliaccio/il buffone’ e (to) clown around /about o (to) play the fool, avrebbe reso miglior giustizia all’immagine trasmessa dall’autore. Non dimentichiamo, poi, che in francese, ‘andouille’ è un tipo di salciccia e che l’espressione si usa anche per indicare goffaggine, come ‘salame’ in italiano: un bello stacco rispetto a ‘crazy’ e ‘imbecille’. Il misterioso lapin buffle, poi, mi sembra una questione più oggettivabile e, al contempo, più complessa di quello che può sembrare, anche perché sbuca proprio all’incipit della storia. Chaussette è, chiaramente per quanti ne conoscano l’esistenza, un coniglio ariete. Appurato che in francese ‘coniglio ariete’ è ‘lapin bélier ‘, alla lettera coniglio montone, ‘l’invenzione della razza’ da parte del bambino gioca sulla confusione tra buffle e bélier, bufalo e montone: un ‘errore’ voluto dall’Autore, a cornice dell’altrettanto erroneamente inteso ‘difetto’ del coniglio, il fatto che le orecchie non stanno su, una caratteristica che è valsa al coniglietto il nome, e che, invece, si rivelerà il tratto distintivo della razza. La presentazione del coniglio, infatti, è tutto un elenco di difetti, che anticipano la decisione del bambino di liberarsi dell’animaletto. Tra ‘buffle’ e ‘bélier’, comunque, si è instaurato un ponte ideale che non può essere trasposto in Italiano per metà. Così come non sarebbe stato pensabile tradurre letteralmente la razza reale di Chaussette, lapin bélier, come coniglio montone, allo stesso modo non si può tradurre alla lettera il primo pilastro del ponte senza compromettere la tenuta della costruzione. La mia proposta, per quel che può valere in questa sede, giusto come esperimento mentale è: coniglio pecora/coniglio ariete. Credo che il nesso narrativo tra la scelta di introdurre una razza inesistente come errore del bambino e il resto della storia sia rispettato e che la correlazione pecora/ariete possa funzionare molto bene anche se chi ascolta/legge non sa cos’è un coniglio ariete. Dico ‘ascolta’ non a caso, perché l’ascolto gioca un ruolo fondamentale nella fascia d’età elettiva per il libro, e ‘legge’ perché, quali che siano le competenze (zoo)logiche dell’adulto lettore, la parola ‘bufalo’ nell’immaginario linguistico italiano è associata a rabbia o fame e, marginalmente, a ottusità o ignoranza. Tradurre è sempre, almeno in piccola parte, localizzare: penso che su questo siamo d’accordo tutti. Perciò, non è tanto una questione di cosa preferire, se una traduzione brutta e fedele o una bella ma infedele: prima ancora che essere bella o brutta nella forma, una traduzione deve trasferire significati. E ‘coniglio bufalo’ è, per me, un non significato. Naturalmente, non sono in grado di dire quale reazione il gioco di parole originario susciti tra i bambini francesi, ma credo che l’intuizione di Alessia rispetto a un’eventuale maggiore familiarità dei bambini francesi con i coniglietti domestici riproponga proprio il problema della localizzazione. Ovvero: come trasferire (non da una lingua a un’altra, ma da una cultura a un’altra) il passaggio voluto dall’autore tra l’inizio della vicenda (le convinzioni del bambino, la sua cognizione della realtà, etc.) espresso anche attraverso l’errore sulla razza del coniglio e la conclusione della vicenda stessa, espressa anche attraverso l’acquisizione del nuovo punto di vista offerto dalla bambina? In questo senso, penso che possa tornare utile riguardare la scelta della traduttrice inglese, che Valentina Daniele trova sbagliata (credo per un equivoco iniziale, in merito al ‘coniglio inventato’) e che io trovo perfetta: eliminare ‘bufalo’. Vero è che in Inglese, a differenza del Francese e dell’Italiano, la razza della bestiola non coinvolge qualificazioni attraverso nomi di altri animali: è lop rabbit, dove il sostantivo lop si riferisce a qualcosa che ciondola (nel significato più risalente del termine, in quanto mozzato), in evidente riferimento alle orecchie. La traduttrice, quindi, non si è trovata impelagata con bovini vari. Però doveva pur sempre rendere il passaggio di cui sopra. E l’ha fatto così: ’Floppy, that’s my rabbit’ è l’esordio del protagonista, ‘rabbit’ diventa ‘lop bunny’, per voce della bambina che l’ha trovato. La traduttrice risolve così, dal generale al particolare, senza nulla togliere alla vicenda narrata. Una soluzione che potrebbe pensarsi, mutatis mutandis, anche per il testo italiano: ‘Dov’è il mio coniglio? ’ – ‘Non è un coniglio qualunque, è un coniglio con le orecchie all’ingiù’…
    Molte cose possono accadere, nello spazio di una breve avventura nel bosco. Non tutti i conigli hanno le orecchie all’insù, non tutto quel che si lascia è perduto, non tutto quello che è scritto va tradotto.

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