L’albo di Alice Melvin è in effetti intessuto non di parole, ma di suoni e profumi, ed è la qualità dei dettagli a raccontarci la vera storia di “A casa della nonna”, ovvero la storia che ognuno di noi conserva di un luogo amato. “Il bosco di Topino” di Alice Melvin è un albo dal tipico sapore inglese e deve il suo fascino non tanto alla storia che racconta, quasi del tutto assente, ma alle sue belle illustrazioni: calde, minuziose e raffinate. Tutto quello che il testo non dice ci è reso noto dalle immagini.

L’illustrazione, che preserva intatta la dolcezza con cui l’autrice ricorda l’anno immerso nei boschi per realizzare questo albo, ha contribuito enormemente al sapore del libro e, se da un lato ha sancito la perdita di un po’ di freschezza,  dall’altro ha dato al tema un respiro più ampio. Il rischio di cedere ad una certa leziosità non ha lasciato, a mio avviso, del tutto incolume l’albo di Alice Melvin; ciò nonostante, questa patinatura fa sì che il libro trasmetta immediatamente serenità e benevolenza. Con questo albo ci troviamo diametralmente opposti a “Le case degli altri bambini” di Luca Tortolini e Claudia Palmarucci, dove la forza del segno e le descrizioni degli interni si pongono in modo critico nei confronti del lettore e diventano un’occasione per interrogarsi sulla vita nascosta dietro le mura domestiche. La prima volta che sfogliai il libro di Luca Tortolini e Claudia Palmarucci, mi vennero subito in mente gli albi di Nikolaus Heidelbach “Cosa fanno i bambini?” e “Cosa fanno le bambine?”, dove una carrellata di fanciulli presentano allo sguardo imbarazzato e scandalizzato dell’adulto un’infanzia perturbante, divergente e vera.

Claudia Palmarucci, del resto, nell’intervista per il nostro Giardino degli illustratori ha detto:

“Cerco mediante le mie immagini di condividere una riflessione, un pensiero, una sensazione. Vorrei che i miei disegni suscitassero domande, che fossero occasione di confronto e scambio.”