Il 2 giugno 2019, a ventisei anni, Richard Carapaz ha vinto il Giro d’Italia. Richard è nato a El Carmelo (Ecuador) nel 1993 da una famiglia di campesinos, ovvero di braccianti. El Carmelo, si trova a quasi 3000 metri d’altitudine nel cuore delle Ande e lassù Richard dà una mano alla famiglia con la vendita del latte. La comunità nella quale vive, La Playa, è nel Canton Tulcan, la capitale ecuadoriana nota per aver allenato grandi ciclisti, e così Richard a quindici anni inforca la sua prima bicicletta e inizia ad allenarsi. Lo sport nei paesi poveri del Sudamerica può essere una risorsa, e Richard è bravo, molto bravo.

Martino ha otto anni e nel maggio del 1940 sale sulla Balilla nuova di zecca del Signor Romolo e con il nonno va sull’Abetone a veder passare il Giro d’Italia e a tifare per Gino Bartali. Piove come Dio la manda. Bartali gli sfreccia accanto, ma quell’anno, a sorpresa, non è lui a vincere, ma un giovanissimo Fausto Coppi. E da quel momento Martino non farà che pensare a lui. Intanto la Seconda Grande Guerra si fa più aspra e nel 1944 le bombe cadono vicino a Firenze e costringono la famiglia di Martino ad andare in campagna dallo zio Orazio. Per il suo compleanno però Martino ha ricevuto la sua prima bicicletta: si chiama Gloria ed è azzurra.

Richard Carapaz si è allenato con i professionisti Juan Carlos Rosero e Paulo Caicedo e nel 2013 vince la classifica Under-23 alla Vuelta in Guatemala. A vent’anni Richard è una giovane promessa del ciclismo e non delude i suoi suoi allenatori conquistando il nono posto al Tour des Pays de Savoie. Non sappiamo cosa si immagini mentre sfreccia sulla sua bicicletta, ma di certo il mondo gli si sta spalancando davanti e scorre negli occhi a velocità sostenuta, quella delle sue due ruote. La famiglia lo sostiene e tifa per lui dal Sudamerica.

Di Martino invece, grazie alla penna di Nicola Cinquetti, sappiamo molte cose, ed è questo il bello dei libri: puoi entrare nei pensieri delle persone, e Cinquetti lo fa con un delicatezza inconfondibile. A cavallo della sua Gloria, Martino immagina di essere Fausto Coppi e quando l’immaginazione prende il sopravvento la guerra si allontana e la campagna non sembra poi così noiosa. E’ bravo ad immaginare cose, Martino, forse anche troppo.

Martino è figlio unico e questo, ai tempi, era piuttosto insolito; e se in città aveva gli amici del quartiere, in campagna è solo e i bambini del piccolo villaggio di S.Lorenzo, capeggiati da una bambina dispotica, non si rivelano benevoli nei suoi confronti.

E’ estate. Gli aerei sorvolano le case, i tedeschi sorvegliano i crocicchi, e le bombe risuonano lontano. Le estati nei libri sono sempre importanti e nel “Giro del’44” Nicola Cinquetti non si sottrae al compito di raccontare un commovente addio all’infanzia. Lo fa però con una grazia che gli è propria cogliendo il papavero rosso della giovinezza con cura e precisione e riuscendo a conservarne la freschezza e il colore anche dopo molte ore dallo strappo. Non vi è nulla di spampanato nella sua scrittura che è limpida e profonda, pudica e giocosa. Il ritmo narrativo è quello di una bicicletta, le marce sono sempre ingranate al momento giusto, senza cambi bruschi anche quando la storia pare essere ad una svolta decisiva: un amore appena sussurrato, la morte sullo sfondo come un ombra capace di vivificare la vita e un Giro d’Italia immaginario dal finale non scontato.

C’è una bicicletta, io credo nel cuore di ciascuno di noi. C’è un Richard Carapaz che dalle Ande vince il Giro d’italia e passa davanti alle vetrine di Radice-Labirinto mercoledì 18 maggio per l’undicesima tappa del Giro. C’è Martino e ci sono io che ora non posso più non appassionarmi al ciclismo. C’è un libro che ti consiglio e che so ti resterà nel cuore.