In molti si domandano come mai la letteratura nordica sappia tradurre così bene l’infanzia.

Ma quale infanzia?

È interessante rispondere a questa domanda perché credo che ciò che il Nord Europa traduce nei suoi libri sia per il lettore italiano adulto un’infanzia ideale.

Sono molto mutati i modelli d’infanzia negli ultimi vent’anni specialmente se pensiamo alla fascia dei bambini più piccoli. Una delle caratteristiche di questa “nuova infanzia” che emerge con costanza nelle tante narrazioni sui social, è il rapporto strettissimo che si vorrebbe che il bambino stringesse con l’ambiente naturale (un aspetto questo che appare con sempre maggiore vigore anche nei contesti scolastici).

Ulf Stark – come molti altri scrittori dell’area nordeuropea – sembra dare voce proprio a quell’infanzia selvatica e spensierata a cui i genitori ambiscono. Eppure io credo che se i libri pubblicati da Iperborea risultano per il pubblico italiano tanto speciali – e a livello letterario lo sono davvero – è perché a quell’infanzia ideale non si riferiscano affatto.

Vi sembra straniante questa affermazione?

Eppure la verità è che il segreto di tutta le letteratura nordica sta proprio nello scrivere senza pensare affatto all’infanzia.

Ma come? I migliori scrittori per bambini non sono proprio quelli che mantengono vivido un ricordo d’infanzia? Quelli che ancora sanno sentire, immaginare e figurarsi bambini? Sì certamente, ma preservarsi bambini non significa pensare all’infanzia.

L’infanzia è in qualche misura l’astrazione dell’essere bambini, è la visione a posteriori di una particolare età della vita, una parola che usiamo solo una volta diventati adulti. Nella nostra contemporaneità italiana sembra che l’immagine d’infanzia sia oggi più importante dell’essere bambini nel qui e nell’adesso.

La scrittura fresca e disinvolta del racconto di Ulf Stark ci fa spalancare gli occhi e ci commuove. Ci fa dire “Ecco com’è essere bambini, ecco lo sguardo autentico del fanciullo!”.