Luogo di confine per eccellenza, la porta apre e chiude due spazi diversi tra loro.

La porta solitamente non è un elemento del paesaggio, ma di un ambiente chiuso come una casa, un edificio, una fabbrica, un negozio.
Eppure ci sono nella Land Art (letteralmente “l’Arte nel paesaggio”) esempi illustri di porte all’aperto: come le tante porte di Cornelia Konrad costruite per la serie intitolata Gravity-Defying (sconfiggere la gravità) o la porta di tronchi finemente lavorati dall’artista coreano Jae-Hyo Lee che potete ammirare proprio in Italia, ad Arte Sella. Più che porte quelle della Land Art ci appaiono come veri e propri varchi, luoghi di soglia da attraversare per accogliere un nuovo punto di vista.

E’ sorprendente come il nostro animo si predisponga ad uno sguardo nuovo quando viene sollecitato da una variazione di prospettiva: una porta, in un paesaggio.

Un davanti e un dietro che improvvisamente potrebbero non essere fatti della stessa sostanza, come per “La Porta dello Specchio Magico” nella “Storia infinita” di Michael Ende, una porta che non puoi aggirare ma solo attraversare. Una porta sospesa e perfino effimera soprattutto se si tratta di Land Art: oggi c’è, ma tra qualche anno, la natura potrebbe aver mutato radicalmente l’opera d’arte.

Anche la porta dell’illustratore coreano Ji Hyeon è nel paesaggio. Anche la sua porta è un varco. Se le cammini intorno non accadrà nulla. occorre aprirla dato che è chiusa a chiave. La chiave non dobbiamo cercarla, la troviamo per caso. Sempre che al caso si voglia dare credito.

Il lettore distratto o frettoloso non la troverà, dato che è nei risguardi, un po’ prima che la storia incominci. Una dichiarazione d’intenti forse, in cui l’autore ci mette alla prova. Quando inizia la tua storia? Quando sei pronto a trovare la chiave? La terza delle Porte Magiche nella “Storia infinita” si chiama “La porta senza chiave”: la puoi aprire solo se abbandoni ogni desiderio di varcarla.

A raccogliere la chiave per noi è un bambino. Sembra che sia per lui il momento giusto. Il suo presente ci appare piuttosto triste. Il bambino è curioso, ora la porta è davanti a lui, quasi si palesa.
Il lucchetto è avvolto dalle ragnatele, tuttavia la chiave gira con facilità. Dall’altra parte il paesaggio non sembra ostile e il bambino oltrepassa il confine.

Da qui in poi è un incalzare di situazioni e incontri. La lingua è quella delle immagini, non ci sono parole nell’albo di Ji Hyeon. Come per “La piscina”, l’albo pubblicato sempre per Orecchio Acerbo a maggio del 2015, il silenzio nella matita di Ji Hyeon si trasforma in illustrazioni cariche di suoni.

Hanno una voce i personaggi oltre la porta, parlano una lingua ancora sconosciuta, eppure non occorre molto per imparare a capirsi.
Come per “L’approdo” di Shaun Tan, in questo albo siamo stranieri. Anche qui siamo un po’ spaesati e forse intimoriti. Senza accorgercene ci nascondiamo, come lettori, dietro le spalle del bambino.

Vai avanti tu” sembriamo sussurrargli nelle prime pagine.
E lui, come ogni bambino, lo fa, va avanti.
E come potrebbe essere altrimenti?

Se una porta esiste, se un altro mondo esiste, è bene non lasciarsi sfuggire l’occasione. E così ci ritroviamo coinvolti ad un festoso pic-nic e poi ad un matrimonio. E non solo: scopriamo che esistono molte altre porte da cui entrano ed escono creature che non avremmo forse mai immaginato. Come se possedessimo “La lama sottile” di Will Parry, l’amico di Lyra Belacqua nella trilogia “Queste oscure materie” di Philip Pullman: apriamo finestre su mondi ancora inesplorati.

La porta implica un passaggio e ogni passaggio che si rispetti provoca in noi un cambiamento. E a volte non solo in noi. Attraversare significa accettare la possibilità di non poter tornare indietro. Vale anche per il lettore, se è vero che ogni buon libro è una porta. Le pagine si chiudono, ma qualcosa resta socchiuso: la nostra immaginazione.