Sfogliando questo libro la prima cosa che mi è venuta in mente è la televisione. Sì, proprio la televisione. Perché mai?

Un mio vecchio articolo pubblicato sul blog della libreria iniziava proprio con questa frase: la questione è spinosa: è bene che i bambini guardino la televisione?

Per rispondere a questa domanda dovremmo aprire un dibattito sconfinato perché sconfinata è la quantità di riposte che di volta in volta esperti, genitori, pedagogisti, maestre, educatori ha fornito negli ultimi decenni intorno a questo argomento.
E se mai volessimo inoltrarci nella giungla dei consigli degli psicologi, delle irremovibili posizioni dei genitori contro o a favore, delle riflessioni pedagogiche, delle opinioni della gente (perché ognuno ha un’idea in merito) non riusciremmo forse a fare chiarezza davvero.

Eccoci arrivati al punto: abbandoniamo il dibattito e facciamo un atto provocatorio: sediamoci su un comodo divano, prendiamo una ciotola di pop-corn o un barattolo di gelato e accendiamo il lettore video. Il dvd inserito è il film di Hayao Miyazaki “Il mio vicino Totoro”. E per una volta (o per la prima volta) ci guarderemo un film per bambini senza di loro e solamente alla fine della visione proveremo ad entrare nel dibattito. Ci state?

La prima sequenza di Totoro, dopo i divertenti titoli iniziali, riguarda un furgoncino del trasloco: un’intera casa fissata su un piccolissimo trabiccolo a tre ruote, con i cassettoni, l’armadio e la bicicletta legati insieme da corde, un paralume che sbuca dall’accozzaglia dei mobili, le porcellane avvolte in un grande sacco di tela e libri e giornali tra le gambe dei tavoli. E nascoste in questo meraviglioso mondo portatile sbucano due bambine, Satsuky e Mei, le protagoniste del film.
La prima immagine è a mio avviso una delle chiavi di lettura più potenti dell’intera storia.
Non è solo una casa quella che il furgoncino sta traslocando in campagna, ma il simbolo di una piccola famiglia che riesce a condensare in poco spazio un intero mondo di relazioni, affetti e ricordi.

Totoro, lo spirito benevolo del bosco Tzuka che abita nel grande albero di Canfora, non compare immediatamente come personaggio della storia. Il ritardo del suo ingresso al terzo capitolo non è casuale nella sceneggiatura; ci dice infatti che per poter incontrare uno spirito tanto speciale bisogna aver prima colto la magia della natura in ogni dettaglio. Anche una ghianda può racchiudere un segreto e molta bellezza; lo sanno bene i bambini che si riempiono le tasche di foglie, radici, fiori e legnetti. Ma chi lascia cadere semi dal soffitto o li sparge lungo il sentiero del giardino?

La piccola Mei, come Pollicino, segue le tracce e ad un tratto l’invisibile diventa visibile perché se sai apprezzare la bellezza di una ghianda allora puoi vedere anche un piccolo Totoro.
In giapponese tororu designa un personaggio delle fiabe simile ad un troll. Mei, la prima delle sorelle ad incontrare lo spirito dei boschi, per indicare a Satsuki e al babbo lo strano animale pronuncia Totoro anziché tororu.
Ma chi è Totoro?

Si è a lungo dibattuto sul fatto che Totoro sia un fantasma o uno spirito. Nella traduzione italiana Totoro vien definito “fantasma” anche se per alcuni sarebbe più corretto parlare di spirito. Il problema sussiste se consideriamo le diverse accezioni che i due appellativi hanno nella lingua italiana. Con fantasma si evoca, nella tradizione occidentale, qualcosa di sinistro e spaventoso, immediatamente associato ad una presenza, spesso velata, bloccata tra la vita e la morte. Lo spirito invece porta con se una dimensione più mistica e religiosa, è spesso benevolo ed è associato a qualche cosa di evanescente ed etereo.

Lo scintoismo, religione di origine giapponese, prevede l’adorazione dei Kami ovvero degli spiriti che albergano nella natura e che abitano in generale tutte le cose animate e inanimate. Alcuni Kami sono spiriti guardiani di un luogo e, in particolare, Totoro veglia sul bosco Tzuka e vive nel grande albero di canfora. Gli alberi entro i quali sono soliti vivere i Totoro sono adornati da corde sacre, chiamate Shimenawa, costituite da nastri di carta e paglia di riso che indicano la sacralità della pianta. A mio avviso Totoro non è né un fantasma né uno spirito, ma una presenza viva e vitale al pari dell’albero che lo ospita. Probabilmente nessuna traduzione potrà mai essere davvero aderente a ciò che Totoro incarna, ma poco importa perché i bambini ne percepiscono immediatamente la magia e il fascino e lo riconoscono per quello che è, ovvero un gigantesco orso a metà via tra un procione e uno scoiattolo. C’è bisogno di dire altro?

La potenza della natura, la sua forza creatrice e guaritrice, vivono in Totoro che di notte va piantando semi lungo il sentiero e che suona l’ocarina nei pleniluni. L’allegria dell’infanzia, la saggezza di piccoli gesti, l’irruenza di un desiderio sono in lui altrettanto potenti.

Siamo partiti chiedendoci se la televisione sia utile o dannosa per i nostri figli; ci siamo concessi una pausa di riflessione davanti al film di animazione di Miyazaki. Ora possiamo provare a richiamare i nostri bambini e domandare loro se hanno voglia di guardare insieme a noi un cartone animato. La loro reazione e il loro interesse per Totoro vi stupirà.

E poi, cullati dalla meraviglia di questa visione, sfogliare un libro illustrato sul folklore giapponese potrà condurvi lontano, nella terra del Sol Levante.

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Ps. Alessia parla di questo libro anche sul nostro canale Instagram durante una diretta che potete ascoltare qui https://www.instagram.com/tv/CPtS4NfldgB/?hl=it

Pps. E se il desiderio di suonare sotto o sopra un albero nelle notti estive di luna piena fosse troppa, consigliamo due meravigliosi libri illustrati di Benjamin Lacombe e Lafcadio Hearn:  Storie e fantasmi del Giappone https://www.radicelabirinto.it/prodotto/storie-di-fantasmi-del-giappone/ ) e Spiriti e creature del Giappone https://www.radicelabirinto.it/prodotto/spiriti-e-creature-del-giappone/ ).