Frances Hardinge nasce nel Kent nel 1973 e studia letteratura inglese all’Università di Oxford.

Il suo romanzo d’esordio Fly by Night, non ancora tradotto in italiano, vince nel 2006 il Branford Boase come miglior opera prima. Dopo questo successo la casa editrice Macmillan le commissiona altri tre romanzi, facendo di France Hardinge una scrittrice a tempo pieno.

In Italia il successo arriva nel 2017 grazie alla casa editrice Mondadori che pubblica il settimo romanzo di questa scrittrice ormai amatissima nel Regno Unito: “L’albero delle bugie” (The lie tree – pubblicato in Inghilterra nel 2015). Il libro, candidato al Premio Strega nella categoria adolescenti e finalista al festival Mare di libri, ha vinto in Inghilterra il prestigioso Costa Book of the year, oltre al Boston Globe, gli UKLA book Award e il LA Times Book Award.

A seguito di questi riconoscimenti viene tradotto in Italia anche il sesto romanzo di Frances Hardinge, ovvero Cokoo Song (in italiano “La ragazza senza ricordi” del 2014) che in Inghilterra si aggiudica nel 2015 il Robert Holdstock Award come miglior romanzo fantasy dell’anno. Cokoo Song è stato anche selezionato per la Carnegie Medal e il Best Novel Award della Britisc Scienze Fiction Association, ed è stato scelto come uno dei migliori cento romanzi classici per ragazzi dal Sunday Times.

Nel 2017 esce in Italia e in Inghilterra “La voce delle ombre”. A Skinful of Shadows – il suo titolo originario – già in lizza per numerosi premi.

Nel 2018 Frances Hardinge diviene membro della Royal Society of Literature.

Il genere praticato da Frances Hardinge è senza dubbio il fantasy, eppure qualcosa di nuovo si profila tra le sue pagine, un vena scura e inquietante che trova in contesti storici precisi le radici per trasformare le sue trame surreali in storie piene di fascino e mistero. Così bene si intreccia la sua immaginazione (vivissima) con le vicende dell’epoca Vittoriana (nell’albero delle bugie), di una cittadina americana degli anni ’20 (nella ragazza senza ricordi) e della guerra civile inglese (nella voce delle ombre) che il lettore è continuamente colto dal dubbio se i fatti narrati siano in qualche modo accaduti pur nella loro evidente eccezionalità.

Questo processo metaforico è quanto mai vivo ne “La ragazza senza ricordi”, dove un vero e proprio mondo parallelo, L’Altronde, si palesa in tutta la sua inquietante magnificenza. Forse il mio romanzo prediletto tra quelli pubblicati in Italia, Cokoo Song – il titolo in italiano (vi ricordo) “La ragazza senza ricordi” disorienta un po’ il lettore – ci restituisce una trama piena di inventiva con picchi di suspance plurimi dall’inizio alla fine, e un tema, quello dell’identità e del doppio, che da sempre affascinano il lettore occidentale di ogni epoca e cultura.

Ne “L’albero delle bugie” il nucleo pulsante del romanzo è il discernimento atavico tra verità e menzogna, comprensione che si fa più ardua quando, non più bambini, capiamo, spesso a nostre spese, che la luce è indissolubilmente legata all’oscurità. Nel simbolo antichissimo dell’albero, il frutto dell’albero delle bugie diventa per Faith – che in camera sua alleva un serpente – la mela di Eva, conoscenza e perdizione sul difficile cammino che dall’infanzia la condurrà all’età adulta. Non a caso fa da sfondo alla trama di questo romanzo il grande dibattito nato in seno all’età vittoriana tra la veridicità della neonata teoria dell’evoluzione e le parole delle Sacre Scritture.

“La voce delle ombre” si muove, devo dire con grande agilità dato il peso specifico dell’argomento, sul delicato confine che separa nell’immaginario comune, spiriti, fantasmi e anime. Siamo nel 1600 sotto il regno di Carlo I e l’eco dell’inquisizione è ancora forte e presente. In questo romanzo ci troviamo di fronte alla trama meno complessa della Hardinge; tuttavia non mancano colpi di scena e passaggi narrativi di notevole pregio. Per la densità e la difficoltà del tema, l’autrice cede ogni tanto il passo al grottesco, specie nella seconda parte del romanzo, ma Makepeace, la ragazza protagonista del racconto, risulta sempre credibile. In effetti è attraverso di lei che l’autrice dona al lettore una chiave di lettura efficace, tenendolo costantemente in bilico tra razionalità, compassione e occultismo, e consegnandoli un romanzo che pone domande non scontate sulla vita e la morte.

La scrittura di Frances Hardinge è in divenire.

Certamente è una scrittura sensibile ed eccentrica quella della Hardinge, così come eccentriche sono le sue protagoniste, tutte ragazze tra gli undici e i quindici anni che si trovano ad attraversare periodi bui come nei migliori romanzi di formazione. La chiave è sempre la presa di coscienza di sé, in un processo doloroso, ma necessario che ridisegna, in ogni romanzo, il rapporto con la madre e il padre. I genitori nella Hardinge, quasi come nel racconto fiabesco, sono presenze ambigue, piene di segreti e in fin dei conti, deboli, quando non addirittura malvagie.

Tutto nella scrittura di questa autrice, dai luoghi ai dialoghi, dai personaggi secondari agli animali, tutto concorre a definire un immaginario straordinario e peculiare capace di mettere a fuoco con una precisione da orologiaio il mondo interiore di chi scrive, ma anche di chi legge.

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