“Essere bambini era: cadere, urlare nelle gallerie, fare la pipì nella vasca da bagno, avere i pidocchi, non saltare con troppo slancio sui marciapiedi, combattere con gli occhiali, andare in altalena e vomitare, non toccare il pavimento!, fare roteare il cestino della merenda, giocare a mamma-papà-figlio, raccogliere cocci…”

È un libro che sa raccontare l’infanziail lettore può ritrovare un pezzetto di sé; ma affinché questo possa accadere la storia deve essere autentica, deve avere un sapore ferroso e dolce come il sangue dal naso.

Eppure non è affatto scontato ricordare la propria infanzia con i sapori, gli odori, le meravigliose epifanie nascoste dentro certi armadi o certi cassetti, la voce dei nonni, le loro parole, ciò che credevi vero o ciò che invece immaginavi lo fosse.

Nadia Budde in questo libro (che nel gergo letterario è definito come una graphic novel), ci restituisce la sua memoria bambina con una tale intensità, originalità e spensieratezza che davvero poco importa che abbiate o meno vissuto nella Germania Est degli anni Settanta: la letteratura vivifica i ricordi rendendoli parte di ciascuno di noi.

E viene da chiedersi: non ci sarà forse qualcosa di universale nell’infanzia in grado di reificare la memoria di ognuno con una dolcezza così vicina alla commozione da farci chiudere i buoni libri con un sospiro di malinconia?

Non ti resta che leggere “Sangue dal naso” e scoprirlo da te.