«Quando nel 1976 uscì da Marsilio la prima edizione di La fiaba come racconto pochi fra gli studiosi sfuggivano al richiamo dei significati profondi delle fiabe, delle strutture narrative riconducibili a precise funzioni, delle ‘opportunità’ didattico-pedagogiche offerte da testi ‘elementari’; era come se il fascino dei “congegni” vincesse sulle “ragioni del racconto” e nascondesse quel piacere di una narrazione che invece doveva venire prima di ogni altra ricerca. Beatrice Solinas Donghi rifletteva da anni sulla fiaba e lo faceva soprattutto sul terreno dei testi, di quelle raccolte di fiabe capaci di nascere in un determinato ambito per spostarsi poi in altri territori in una sorta di catena interminabile capace di aggiungere anelli ma anche di toglierne, di prendere direzioni inaspettate per poi, repentinamente, tornare alle origini; fin dall’inizio della sua precoce riflessione, insomma, la scrittrice era giustamente convinta che la fiaba fosse soprattutto narrazione e che la ricerca affannosa di significati latenti, dalle spiegazioni psicoanalitiche a quelle etnologiche, finisse per nascondere “le ragioni del racconto”; proprio per questo i capitoli del libro costituiscono ancora oggi l’esempio più persuasivo di come possano proficuamente accordarsi riflessione critica e invenzione letteraria; di come possano convivere il fascino della parola raccontata, il gusto dell’intreccio, il piacere dell’ascolto e della lettura …»

(Dalla prefazione di Pino Boero)

Il mio trisnonno si chiamava Massimiliano, era nato nel 1873 a Guiglia, un paesino degli appennini modenesi, e non aveva frequentato la scuola elementare. Faceva il contadino e alla sera, nella stalla, tra l’alito caldo delle mucche e il profumo del fieno, raccontava ai suoi numerosi nipoti le storie della vita agreste e le fiabe della tradizione.
“Quante ne sapeva!” mi dice oggi la mia cara nonna che di anni ne ha 87. “Noi ci sedevamo intorno a lui e il nonno raccontava e raccontava. Ah se potessi ricordarmele tutte!”.

Mio nonno faceva il ferroviere così lo Stato gli aveva concesso di abitare nella casa cantoniera della stazione centrale di Modena, Passavo molto tempo con la nonna e a volte andavo a dormire nel suo letto.
Ricordo le lenzuola ruvide di cotone, l’odore del nonno sul cuscino e le mie fiabe preferite: Prezzemolina, dove compariva il Pitofè – “Non ho mangiato né bevuto, il Pitofè non ho veduto” – e La bella dai capelli d’oro, dove le stoviglie parlavano e la scopa faceva la spia alla strega.

Mentre la nonna raccontava al buio, io guardavo le luci che gli scuri disegnavano sul soffitto e sentivo i treni passare. La stanza da letto della nonna era la più fredda della casa – ancora oggi lei non accende il calorifero dove dorme – e io mi rincantucciavo contro il suo corpo soffice avvolto in una camicia da notte di flanella, infilavo i miei piedi tra le sue gambe e cercavo di rimanere il più immobile possibile.

Non è facile oggi parlare di narrazione. In libreria bisogna sempre specificare ai genitori che si prenotano per Il focolare delle fiabe, che una narrazione non è né una lettura ad alta voce né tanto meno una “lettura animata”.

Si può capire meglio il valore di una fiaba raccontata a memoria e distinguerla da una lettura ad alta voce se abbiamo avuto un imprinting: se durante l’infanzia, qualcuno ha narrato per noi  sarà più facile riscoprirsi narratori e riaccendere la fiamma del proprio focolare domestico, perché qualcosa di estremamente potente si imprime nell’immaginazione, un incanto che travalica il tempo e sa riemergere quando richiamato.

Ma che ne è oggi del racconto orale?

Ogni essere umano ha il diritto di essere accompagnato nella consapevolezza di percepirsi come un essere narrante. Ognuno di noi è infatti la somma delle storie che ha vissuto o ascoltato, storie che come nel mito, si intrecciano continuamente. Da sempre nel bosco si nasconde un patrimonio collettivo di saperi e competenze che ha trovato nella fiaba il modo più semplice ed efficace di palesarsi.

La fiaba è una miniera di tesori, un luogo fertile in cui seminare le esigenze della propria immaginazione.
Le fiabe anche nei loro aspetti più grotteschi e oscuri, ci educano ad affinare l’istinto, il senso critico e l’intelligenza. Le fiabe, dall’alba dei tempi, costruiscono in noi un cuore intelligente.

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