Come può esserci ancora qualcosa da scoprire nella fiaba più raccontata al mondo? Davvero la bella fanciulla «bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano» uscita dall’inchiostro dei Grimm ha ancora in serbo qualche sorpresa per noi? Ebbene sì, più d’una – addirittura venti. A svelarcele tutte insieme è una delle più autorevoli voci internazionali sul tema della fiaba popolare e colta come Maria Tatar, dell’Università di Harvard. Dobbiamo a lei la sorprendente raccolta di storie di madri e figlie che si dipanano lungo il filo narrativo della bellezza, fisica e interiore. A dire il vero qualche sospetto ce lo aveva già insinuato Jack Zipes, che a due secoli dalla prima edizione delle Fiabe del focolare dei Grimm ci aveva svelato come nel 1812 l’originaria versione della poi celeberrima fiaba narrasse la persecuzione di una bella figliola ad opera di una madre biologica e non di un’astiosa matrigna. Gli stessi Grimm avevano poi ribaltato lo schema con la versione divenuta canonica nel 1857, e quasi un secolo dopo ci aveva pensato Walt Disney a imprimere sulle pupille di ogni bambino (e adulto) di mezzo mondo le fattezze candide di Biancaneve e, più ancora, quelle oscure e malefiche della sua matrigna, trasferendo così la malvagità e il conflitto al di fuori del rassicurante perimetro della consanguineità – con esiti psicoanalitici approfonditi nel secondo Novecento da Bruno Bettelheim. Ma la storia non è tutta qui e, grazie a Maria Tatar, possiamo oggi seguire le orme della bella fanciulla fino in capo al mondo, per scoprire ventuno avventure diverse narrate presso paesi e culture disparate – dalla Germania dei Grimm all’Italia di Basile e di Pitrè, dall’Armenia al Portogallo, dal Giappone all’Africa, dalla Cina al Marocco, dagli Stati Uniti alla Francia. Come dentro una camera di specchi deformanti, Biancaneve cambierà nome, aspetto, lingua, rango e compagni d’avventura. E accanto a lei scopriremo una congerie di oggetti fatati – specchi, mele, pettini, spilloni, calze, ventagli semi, bare d’oro o di vetro, pietre della pazienza; oltre a un campionario di aiutanti magici e non – nani, banditi, principi, servitori benevoli… A non cambiare sarà il conflitto tanto intimo quanto generazionale tra due bellezze, l’una inconsapevole e inesperta, l’altra aggressiva e prevaricatrice. Come dice Tatar, rovesciando il celeberrimo incipit di Anna Karenina, «nella vita reale ogni famiglia infelice può essere infelice a modo suo, ma nelle fiabe le famiglie infelici si somigliano tutte». Il che vale anche presso mondi culturalmente e geograficamente disparati. Come ci hanno insegnato Tolkien e Angela Carter il calderone delle fiabe bolle sul fuoco sin dalla notte dei tempi e, come avviene per le zuppe, anche le storie più prelibate vanno cotte a fuoco lento. Ma per non fare sempre la solita minestra, occorre l’aggiunta di qualche nuovo ingrediente, di una spezia o di un aroma diverso a seconda delle epoche e dei luoghi; solo così, pur conservando quel retrogusto di un comune passato ancestrale, anche il sapore di questa antica storia non smetterà mai di sorprenderci.