Il mestiere del cantastorie

Nel penultimo post “Professionisti in rete” ho avviato una riflessione sul mestiere del libraio, invitando i professionisti che a vario titolo si occupano d’infanzia, ad avvalersi delle librerie specializzate del proprio territorio quando si tratta di stilare bibliografie da suggerire poi ai genitori e alle maestre.

Nella newsletter di febbraio 2018, nella rubrica “Pesce guizzante” dove metto “in rete”una riflessione estemporanea, ho parlato di come  intendo il mio mestiere di cantastorie. Rileggendo quel pezzo mi sono resa conto che è strettamente collegato alla riflessione sul riconoscimento delle varie professioalità. Questa volta la questione è posta dal punto di vista del libraio che declina un invito perché non si sente preparato per l’incarico proposto; perché se è vero che occorre mettersi in rete e dare valore alla preparazione di ciascuno, e anche necessario saper riconoscere i propri confini e vedere con chiarezza e coerenza la strada professionale che si  è deciso di intraprendere.

 

Per questa riflessione ringrazio Chiara che frequenta la libreria da tempo e che spesso si accoccola, con i suoi due bambini, al nostro focolare. Un mese fa Chiara mi ha chiesto di poter collaborare ad un evento organizzato dalla sua associazione che si prefigge di avvicinare bambini e ragazzi alla storia attraverso la rievocazione di tradizioni o avvenimenti locali ( qui se volete approfondire) . Chiara mi ha chiesto di narrare una storia a sfondo storico sulla nascita dei tortellini. Qui le ragioni del mio declino al suo bell’invito.

 

Come cantastorie mi sono specializzata nel racconto fiabesco e la mia ricerca è tutta volta al rito del focolare, inteso come momento intimo e semplice in cui instaurare con chi ascolta un legame affettivo implicito.

Coerente con questa mia ricerca, non narro mai nei nidi d’infanzia perché la mia presenza risulterebbe estranea a quei bambini così piccoli che vedendomi una settimana per l’altra, non mi riconoscerebbero, rendendo pressoché impossibile instaurare il legame del fuoco ( ne ho parlato nell’articolo “Se lo puoi raccontare #2 – Fiabe a scuola)

In quel contesto il mio dire – pure semplice e spoglio – diventerebbe a prescindere un atto performativo, cosa che desidero evitare in tutti i modi. Al nido preferirei di gran lunga intraprendere un percorso di narrazione con le maestre in modo che siano loro, presenze affettuose e quotidiane, a riportare il rito del focolare ai loro bambini. Purtroppo questo succede di rado perché quasi tutte le scuole prediligono l’attività con “l’esperto” a contatto con i bambini o qualche intervento che possa poi essere raccontato ai genitori come evento piacevole e stimolante.

La cosa interessante che invece succede in libreria sta proprio nel costruire mese dopo mese una piccola comunità intorno al nostro piccolo focolare: la mia voce diventa famigliare, i bambini e gli adulti si affezionano al mio modo di disegnare con le parole l’immaginario fiabesco e la fiaba stessa assume una dimensione piccina e consueta (pur continuando a trasmettere la sua potenza). Il focolare per me è questo, e la mia volontà è volta a restituire alle persone la dolcezza e l’incantamento di un momento di narrazione tra pareti quasi domestiche ( perché è la casa di fatto lì il luogo privilegiato della fiaba). Cerco quindi di spogliare la mia voce da qualsiasi eccesso o artificio (permettendomi però di cantare), restando fedele alle mie note più intime. Nessuna tecnica attoriale, né una potenza di voce che mi permetta di raggiungere l’ultima fila di un’eventuale platea.

Diverso invece è un racconto che non sia fiabesco.

Certo, se il racconto appartenesse alla mia sfera privata, forse troverei “le precise parole” attingendo a qualcosa che vivo e sento profondamente (come quando in effetti penso alla mia cara nonna che fa i tortellini) ; ma in questo caso il gruppo di persone che vorrei intorno a me, intorno al mio focolare, sarebbe piccolo e selezionato. E non metto in dubbio che un racconto privato possa diventare una piece teatrale o un racconto pubblico, ma io non ne ho le capacità, né mi sento all’altezza di un simile compito perché sono certa che il risultato migliore lo otterrebbe un attore di professione (uno talentuoso naturalmente, che sappia risultare spontaneo e autentico).

Lo stesso discorso è applicabile, anzi a maggior ragione, ad un racconto scritto da altri. La fiaba nasce già per un pubblico, e ha il grande vantaggio di appoggiarsi ad archetipi potenti e riconoscibili dentro ciascuno di noi, archetipi che hanno davvero bisogno di molto poco per essere evocati: se io dico bosco ci sarà un bosco ancestrale per ognuno dei convenuti, ma se dico “tortellini” l’immaginario di riferimento sarà molto meno potente.

Del resto per me la magia del teatro è rendere familiare ciò che prima ci era estraneo o sconosciuto, coinvolgerci empaticamente e trascinarci con sé, attraverso il buio, in una storia a noi poco nota (e non è la stessa cosa quando si ascolta una fiaba per la prima volta perché la sua struttura e le sue funzioni sono così fortemente codificate da renderci subito il racconto consueto e familiare). L’attore per trascinarci con sé deve avere tecnica, una voce allenata e alla spalle tanto studio in teatro. Pensate alla semplicità con cui pare narrare Paolo Paolini o Marco Baliani…un incanto mai improvvisato.

Pensate invece, a proposito di improvvisazione ed estemporaneità, che negli ultimi anni, quando narro una fiaba in libreria mi impongo di leggere la trama solo dieci minuti prima di sedermi vicino alla fiamma perché quello che cerco è la memoria di tutte le vecchine prima di me, le parole che sgorgano dal profondo e dalla quiete, una memoria che non cerca applausi, ma una familiarità affettuosa e spontanea.

Mi è dispiaciuto molto declinare questo invito, ma ho deciso tempo fa che la coerenza in quello che faccio sarebbe stata importante tanto quanto il saper raccontare una fiaba, anche se questo significa probabilmente perdere guadagni facili. E lo so che alle persone e ai bambini piacerei comunque moltissimo, che il racconto magari riuscirebbe “bene” e tutti sarebbero soddisfatti, ma io so che quello che mi si sta offrendo non è il mio posto e che ci sono persone molto più competenti di me ad espletare questo compito.

Riconoscere le professionalità di ciascuno sarebbe nei nostri tempi una vera rivoluzione.

Se volete leggere una mia intervista sulle fiabe e sul rito del focolare potete leggerla qui

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