Il Compleanno – Albo illustrato

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Premessa

Come già accaduto per “A ritrovar le storie” di Monica Morini e Anna Maria Gozzi, illustrato da Daniela Iride Murgia, quando un albo illustrato è così denso e splendido, il consiglio di lettura si trasforma in un articolo per “Le stanze del labirinto”. Colgo l’occasione per ringraziare Anna Castagnoli e il suo blog “Le figure dei libri” che hanno ispirato la stesura di questo consiglio di lettura; dopo la lettura dell’analisi di Hansel e Gretel di Susanne Jansenn mi sono ritrovata in tasca la voglia di tentare anche io una piccola e umilissima ricerca tra le parole e le figure. Devo ammettere che mi sono molto divertita e spero sia così anche per i miei lettori. Buona lettura.
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“Il compleanno”
di Pierre Mornet
Edito da Gallucci
Traduzione di Yasmina Malaouah

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Lo aspettavo dalla scorsa estate, da quando ho visto l’immagine di copertina su una rivista francese: una giovane donna dal viso bellissimo giace addormentata su un prato, il capo appoggiato al braccio; un cardellino, più leggero di una delle sue piume, sta in bilico su una foglia di Cisto reggendo nel becco un racemo di ribes color rubino; due papaveri rossi, uno in boccio e l’altro già schiuso, si stagliano delicati ed emblematici sul fondale nero come la notte.
Che “Il compleanno” di Pierre Mornet attinga la sua storia dal pozzo profondo del sogno lo si capisce non solo perché in copertina c’è una fanciulla addormentata incorniciata da due papaveri, simboli antichi dell’altrove e dell’abbandono dei sensi, ma perché ogni particolare ci suggerisce che la realtà che si svelerà pagina dopo pagina, è della stessa sostanza della notte, sospesa tra immaginazione e incanto, tra il sonno e la veglia.
In questo magnifico albo illustrato si parla di un sogno ed è per questo che tutto è rarefatto e al tempo stesso profondo, sottile e sfuggente.
Ma quanti mondi si affacciano in quei pochi minuti che sembrano durare giorni? Probabilmente infiniti; eppure nell’infittirsi della trama, nelle immagini in perpetuo mutamento, nelle atmosfere surreali e perturbanti del sogno, Pierre Mornet riesce a regalarci una storia dolcissima.
Dopo i risguardi di un intenso arancione, colore dell’armonia e somma dei colori del sole, magenta e giallo, troviamo la prima tavola dell’albo: due bambine una bionda e una mora, più leggere dei loro vestiti, stanno in bilico su un ramo d’acero; sotto di loro l’acqua, forse il mare. A fianco della tavola, sul frontespizio, leggiamo “Pierre Mornet, il compleanno, disegni dell’autore”. Pierre Mornet ha voluto identificarsi prima di tutto come scrittore, forse perché per la prima volta, dopo una prestigiosa carriera da illustratore, si cimenta con la stesura del testo; o forse perché vuole dirci che il sogno è suo, o di qualcuno che gli è molto caro… Forse i sogni possono essere disegnati solo dopo averli vissuti. E per avvalorare questa seconda ipotesi sul colofon troviamo la seguente dedica: “Per Stéphanie, con tutto il mio amore”.

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Prima di iniziare la storia (o forse siamo già dentro?) ancora una pagina bianca e una frase del poeta e scrittore francese Gerard Nerval “ Il sogno è una seconda vita”.

E poi ecco, tutto ha inizio.

Sto forse sognando? Tutto sembra così irreale”

“Cado dal sonno. E cadendo torno bambina”

“Ricordo”
“Ricordo l’aria profumata. E’ primavera, è il mio compleanno”

L’albo ha un ritmo narrativo preciso: il testo è sempre sulla pagina di sinistra, luogo della casa, della riflessione e della rielaborazione, è lì che il sogno diventa leggibile e i pensieri si condensano in parole; le tavole si trovano invece sulla pagina di destra, luogo dell’altrove, del viaggio, dell’inconosciuto. I sogni prendono vita nei colori pieni e pastosi di Pierre Mornet, il cui immaginario oscilla tra il simbolismo decadente dei preraffaelliti e il surrealismo di Arnold Böcklin, con riferimenti a volte molto espliciti che denotano la levatura di questo illustratore. Infatti solo chi ha saputo rielaborare la tecnica e il messaggio di grandi maestri può permettersi citazioni e ammiccamenti.

Mentre giocava sul prato con una palla dorata, Proserpina notò tra l’erba un narciso che, scrive il poeta Omero, non era mai apparso prima sulla terra; fermandosi ad ammirarlo, la bella figlia di Demetra, fu sorpresa da Ade che, con il suo carro uscì dalla terra, trascinandola con sé nel mondo di sotto. Il narciso fu dunque l’ambasciatore del sovrano dell’oltretomba. Il messaggero dei sogni ne “Il compleanno” di Pierre Mornet è il papavero.
Il nome latino di questo fiore è Papaver somniferum, ovvero portatore di sonno; lo troviamo nella tavole di Pierre Mornet che aprono e chiudono il sogno della fanciulla. Questo conferma ancora una volta la natura mercuriale del papavero, di messaggero, di traghettatore.

Hans von Aachen immagine 3

Nella prima tavola dell’albo una giovane donna sta per cadere sopra tre fiori di papavero. Cade come cadde Proserpina nel regno di Ade, dall’alto verso il basso, leggera e fragile.

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Nella seconda tavola, uno dei tre papaveri copre completamente l’occhio sinistro della giovane donna, mentre l’occhio destro si sta lentamente abbandonando al sonno. Nell’antichità si usava mettere sopra gli occhi dei defunti due monete d’oro da offrire al traghettatore Caronte che trasportava le anime dei morti al di là del fiume Acheronte.
Il sonno è simile alla morte, ma una parte di noi rimane vigile; l’amigdala, la ghiandola che nel nostro cervello governa la paura, veglia per noi, ed è grazie a lei se al minimo pericolo, ci svegliamo di soprassalto. Il papavero, come una moneta d’oro su un solo occhio, è il lascia passare per il mondo del sogno.

Scrive Shakespeare nell’Amleto:

Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale,
deve farci esitare.”

La terza tavola è una delle più importanti. Come nella seconda tavola, in primo piano c’è un volto, ma questa volta è quello di una bambina. La giovane donna con il papavero sull’occhio sinistro, si è addormentata e addormentandosi si è trasformata. Se proviamo a sovrapporre la prima e la seconda tavola notiamo che i due volti occupano la stesso spazio e sono quasi perfettamente sovrapponibili. E i papaveri? Sono diventati due e sono ancora in boccio. Qui dentro al sogno non hanno bisogno di esalare i loro effluvi perché sono ancora acerbi, come gli anni della bambina. Allora ecco che una cascata di grandi papaveri rosa, aperti e fragranti, sono pronti esalare un sonnifero più dolce. Il rosa è un colore delicato, il profumo è appena inebriante e il sogno è quello dell’infanzia, età di sospensione, terra del tempo passato e forse dimenticato. Gli occhi della bambina sono aperti, limpidi, guardano dentro al sogno con rara intensità.
Il testo dice “Ricordo”. Per ricordare con tanta esattezza e con tanta forza bisogna guardare dritto dentro di sé.

Nella quarta tavola riappaiono i papaveri, sono tre come le fanciulle sedute sul prato. Quella al centro, con l’abito azzurro, è la bambina del sogno. I loro vestiti “sono petali di fiori che gettano sull’erba macchie color pastello”. Un papavero per ciascuna bambina, amiche lontane, fanciulle del sogno. Eteree presenze, evanescenti, fragili come i petali di un fiore di campo.

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Fino alla settima tavola il sogno si dipana in modo lineare: le tre fanciulle giocano a nascondino; la nostra bambina si nasconde nel bosco, luogo dell’inconscio per eccellenza. Nel bosco ci sono due cerbiatti: che siano le fanciulle di prima sotto altre sembianze? I cerbiatti sembrano anch’essi giocare a nascondino. E se il cervo è l’emblema della foresta, i cerbiatti ne sono l’anima bambina, ne rappresentano lo spirito giocoso, timido e sfuggente. Su un ramo uno scoiattolo mangia acini di ribes rosso. La nostra bambina con sguardo malizioso si inoltra sempre di più nel bosco, scivola quasi fuori dalla pagina, verso destra, verso un altrove. Ma scivolare in un sogno può essere pericoloso.

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Nell’ottava tavola la bambina si trova davanti ad “un alberello con fiori luccicanti come stelle”. Si è arrestata incantata: un braccio è conserto dietro la schiena mentre con una mano si arrotola una ciocca di capelli. E’ un gesto rassicurante, consolante, tipicamente infantile, legato alla sfera materna. D’altronde l’albero è un simbolo potente del femminile. Per farci entrare dentro al sogno, Pierre Mornet dissemina il nostro cammino di simboli che ci colpiscono immediatamente senza bisogno di ulteriori analisi.
La bambina si avvicina e il testo dice che “i rami paiono d’un tratto protendersi verso il cielo, oltre le cime più alte degli alberi oscurando il giorno”.

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Ed ecco che il sogno precipita.
Piove, un temporale fortissimo. La bambina si rifugia nel tronco di un grande albero, tiene stretta tra le mani una ciocca di capelli ancora più grande, è evidente che ha paura. Eppure il suo volto sembra sereno, gli occhi paiono comunicare un senso di attesa, come se sapesse che finché l’amigdala non ci di svegliarci non può accaderci nulla.

 

Ma “L’acqua sale, il vento e la tempesta infuriano”. La corrente la trascina nel buio. Vediamo la bambina su una foglia d’olmo come trascinata via dalla notte.
Dove sono finite le mie amiche?

Nella dodicesima tavola eccoci al cospetto della Regina della notte. Una fanciulla con le spalle scoperte e le mani intrecciate sul petto, ci fissa, intensamente. Dobbiamo distogliere lo sguardo anche se si tratta solo di un disegno. Non è triste, ma neppure felice, semplicemente è, come una Dea. Dalla piega del vestito indoviniamo la forma delle ginocchia e capiamo che è seduta. Su cosa? Lo sfondo è completamente nero. E’ seduta sulla notte, sta sospesa come la luna nel cielo, ugualmente pallida ed evanescente.


Il vestito di un rosa cipria è fermato da un lato da una perla rosa, come il diadema sulla fronte di Ecate, Dea della notte; ogni cosa in questa Regina è prezioso, tutto è mistero. E davanti al sacro noi chiudiamo gli occhi.

 

La tredicesima tavola è completamente nera.

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Tredici, il numero della totalità; il cerchio che si era chiuso alla dodicesima tavola si trasforma in spirale e sale verso l’alto. Il numero tredici, corrisponde all’ottava nota, al Do dopo il Si, che alza tutto di un’ottava e apre le porte ad una nuova scala. Il tredici è come l’8, simbolo dell’infinito, a sua volta doppio del 4, numero della stabilità.

 

Dopo aver chiuso gli occhi ed essere ascesi, siamo pronti per un nuovo mondo. Abbiamo superato il punto critico del sogno, siamo degli iniziati della Regina della notte. Se Lei ci ha accordato il permesso, possiamo attraversare le porte di alabastro. Torna la luce e nella quattordicesima tavola è pieno giorno, tutta la pioggia caduta ha formato un mare. Come in un deja-vù ci sembra di essere già stati qui. Ma certo! E’ la prima illustrazione che abbiamo incontrato subito dopo i risguardi.

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Dunque siamo sempre stati qui, dentro al sogno? O queste due fanciulle in bilico su un ramo d’acero, come lo scoiattolo lo era nel bosco, sono loro stesse le guardiane dell’albo di Pierre Mornet? Era destino che ci incontrassimo?

 

La bambina protagonista del sogno dice “Una bambina identica a me, ma bionda, mi sorride con dolcezza” . Dopo aver incontrato la Regina della notte, forse possiamo incontrare il nostro doppio. Nel profondo del sogno ci attende una parte di noi stessi che forse avevamo dimenticato. Non è una bambina qualunque, non è come le amiche con le quali giocava a nascondino, sfuggenti e mutevoli come le ninfe del bosco, questa bambina è “L’amica che sognavo” e “io sono l’amica che aspettava”.

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La bambina è però prigioniera della Regina della notte, è una stella solitaria, ogni notte brilla nel cielo con l’oro dei suoi capelli. Qualcosa di noi è intrappolato, forse la cosa più preziosa. Le bambine sono come due uccellini inseparabili, ma uno è in gabbia e non può volare libero. Nella sedicesima tavola Pierre Mornet ci mostra due uccellini, hanno le piume dello stesso colore dei vestiti delle bambine, uno è azzurro e l’altro ocra.

 

Nella diciassettesima tavola arriva la notte, e le fanciulle si devono separare, ma la nostra bambina decide di andare dalla Regina delle tenebre per liberare la sua amica. Con un battito d’ali l’amica si trasforma in un uccellino dalle piume color ocra, lei che come una stella conosce la notte, le farà da guida. Pierre Mornet tuttavia ci mostra la fanciulla dai capelli d’oro e l’uccellino nella stessa tavola, lasciando a noi intuire la metamorfosi dall’una all’altro. Del resto in un sogno ogni cosa è possibile e una volta che ci è stato mostrato il nostro doppio, tutto può essere moltiplicato all’infinito. Rispetto alla quattordicesima tavola, le bambine sono invertite: quella bionda è seduta sul ramo, mentre la protagonista è in piedi su delle assi di legno, forse una barca per attraversare il mare.
La nostra amica preziosa promette di aspettarci.

Nella diciottesima tavola, scopriamo che le assi di legno sono in effetti una barca. A poppa l’uccellino ocra veglia su di noi. Il paesaggio è inquietante, l’acqua è fangosa. L’isola che si staglia imponente sullo sfondo ci ricorda quella di un famoso quadro di Arnold Boklin “L’isola dei morti” nella prima versione del 1880.
Proserpina ha varcato le soglie del mondo sotto il mondo, la Regina della notte è Ade, Ecate, Demetra. Tre figure, un unico mito.
Il cielo dietro l’isola è rosa cipria.
Ma la nostra bambina, che noi vediamo di spalle sulla barca, è intrepida. Lo si capisce dall’atteggiamento del corpo: la gamba destra in avanti, il petto in fuori, le braccia rilassate lungo il corpo; possiamo intuire il suo sguardo fiero e coraggioso.

E infine, nella diciannovesima tavola, imponente come l’isola dei Morti, la Regina della notte si staglia sul fondale scuro, indefinito. E’ emersa dalla stesso mare fangoso, su cui sorgeva l’isola. Lei è l’isola. Siamo “Ai confini dell’acqua, ai confini della notte.

La barca e la bambina sono davanti a lei, hanno le stesse proporzioni della tavola precedente. La Regina della notte ci fissa, ha lo stesso sguardo intenso e vuoto della dodicesima tavola, sembra solo un po’ più stanca.

Le mani sono sempre raccolte sul petto, ma più morbide, il dito indice della mano destra indica il basso. Se tracciamo una diagonale a partire da quel dito, dopo essere passati per mare fangoso, usciamo dal foglio.

La bambina fa appello a tutto il suo coraggio e le dice:

“A te che vegli sui nostri sogni e che non puoi dormire, porto in dono i sogni di tutte le mie notti per poter rivedere almeno un giorno la mia amica.”

 

Noi sentiamo un brivido quando la bambina vuole donare tutti i suoi sogni, anche questo? Svaniremo con lei? Il libro si chiuderà? E la bambina dai capelli dorati non è anch’essa un sogno?

Ma la Regina risponde.

Te li lascio, i tuoi sogni. Anche se le stelle appartengono alla notte come il sole appartiene al giorno, un’amicizia tanto bella merita un’eccezione. Ogni anno, il giorno del tuo compleanno, vi sarà consentito rivedervi.

 

La Regina-Ade ha accordato a Proserpina di tornare tra i vivi. Un solo giorno all’anno, nel mondo di sopra, nel regno del sole.
Poi la Regina si rivolge all’oscurità:

“Principesse della notte,
guardiane dei sogni,
accettate?”

Pierre Mornet ci mostra nella splendida ventesima tavola, tre giovani bellissime donne e una bambina, mascherate, sedute su un divano di velluto rosso. Hanno le orecchie da gatto e anche la maschera nera è quella del muso di un felino. Solo una, quella seduta a sinistra , si è tolta la maschera rivelando due occhi di un azzurro liquido e lucente e un viso di porcellana. Questa tavola è molto conturbante, intensa, magnifica. Come quattro divinità queste fanciulle presiedono il mistero dei sogni, esse stesse sono il mistero. La più giovane della quattro è una bambina e mostra dietro la maschera uno sguardo indecifrabile. La donna più a destra regge un ventaglio rosa sul quale è disegnato un cardellino. Se non daranno il permesso, il buio inghiottirà anche il nostro uccellino? Le donne-gatto lo divoreranno? Tutto è sospeso fino a quando le quattro fanciulle acconsentono.

 

Allora la Regina della notte con il piede nudo sfiora la superficie immobile dell’acqua. Nella ventunesima tavola si vede un piede candido in procinto di toccare l’acqua fangosa, la stessa che bagnava l’isola. Quel piede ci ricorda quello del “Bagno di Diana” di François Boucher. E non sarà un caso che il piede della Regina della notte è quello di Diana, prima stella del mattino, che porta sulla fronte lo splendente diadema.

Nella ventiduesima tavola l’acqua si trasforma in un vortice, nel fondo del quale c’è l’oscurità. Il vortice trascina con sé la bambina e l’uccellino, la bambina è serena anche se noi avvertiamo la drammaticità del momento. Il sogno precipita ancora una volta. L’acqua ci porta con sé proprio nella direzione che era stata indicata dal dito indice della mano della Regina. Andiamo ancora una volta verso destra, verso un’altrove.
Come nel finale di Alice nel paese delle meraviglie, ora tutti noi, in preda alla paura, vorremmo svegliarci.

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Ma nella ventitreesima tavola stiamo ancora correndo dentro al sogno. Perché l’amigdala non ci ha svegliato? La nostra bambina è così forte e coraggiosa?
L’uccellino ci segue in volo, i piedi toccano terra, dall’acqua sboccia un fiore, rosso. La bambina è sfuggita al vortice e, senza voltarsi, corre lasciando il fragore delle onde in lontananza. Non si può di certo guardare indietro, quando si esce dal mondo di sotto bisogna sempre guardare in avanti, verso la luce; lo sa bene Euridice, tradita da Orfeo. Ma la nostra bambina è più forte di ogni tentazione. Lei vuole rivedere la sua amica. Lei vuole ritrovare quella parte di sé.

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E’ stanca, però, dopo la lunga corsa, così si corica sull’erba soffice. Nel suo stesso sogno si addormenta e qui nella ventiquattresima tavola, dodici tavole dopo aver incontrato la Regina del buio e della mezzanotte, ritroviamo la tavola della copertina dell’albo di Pierre Mornet. Dodici lune, un anno. Sei mesi nell’Ade, sei mesi nel mondo, questo è il destino di Proserpina. E in questa tavola ecco di nuovo i due papaveri in boccio, ed ecco il cardellino ocra tenere nel becco il racemo di ribes rossi. Proserpina, prima di lasciare la casa del suo oscuro signore, mangiò tre chicchi di melograno e questo la legò per sempre al regno dell’ombra. E se il ribes ci ricorda i chicchi rubino della melagrana, i papaveri annunciano un nuovo passaggio.

La venticinquesima tavola, come la tredicesima ci mostra un salto. La venticinquesima tavola è la prima ora del nuovo giorno e l’immagine che vi troviamo è esattamente speculare a quella della terza tavola. La bambina si specchia in se stessa ancora una volta. Il volto rivolto verso sinistra ci dice che no ci sarà un altrove, forse il viaggio è finito, la giovane donna della prima tavola si è svegliata. Di nuovo apre i grandi occhi scuri tra opulenti papaveri rosa e due papaveri in boccio, e a noi ci sembra ancora bambina. La prima frase del testo si ripete:

“Sto forse sognando?
Tutto sembra così irreale”

Nella ventiseiesima tavola non sappiamo più nemmeno noi se siamo svegli o ancora dentro al sogno. Ci sono due giovani donne (o due bambine?) appoggiate sul prato. La bambina con il vestito azzurro china il capo sul volto di un’altra giovane donna, identica a lei, ma con i capelli biondi, addormentata sulle sue ginocchia.

“Ricordo.
E’ di nuovo primavera.
Oggi è il mio compleanno.”

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La fanciulla è tornata dal mondo della notte? Le è stato concesso di far parte della vita o dei sogni dei vivi? Che importa in fondo; non siamo forse tutti, come scriveva Shakespeare nel Riccardo III, ”larve di sogni”?

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