E’ una splendida giornata di sole. La neve è più luminosa che mai, il cielo limpido e senza nuvole. Benvenuto Alessandro nel nostro giardino. Ci siamo incontrati vicino al grande tasso. Questo albero è il più vecchio di tutto il giardino, il suo tronco scavato dai secoli è ricco di anfratti, di nicchie che in questa stagione diventano rifugio per le ghiandaie, per i ghiri e per le civette. All’ombra della chioma piccole impronte si confondono con il disegno dei rami sul manto nevoso. Il tuo tratto, caro Alessandro, è particolarissimo: veloce, tagliante e allo stesso tempo denso e carico di suggestioni. Osservando le tue tavole si ha l’impressione che tutto nasca spontaneamente sulla superficie del foglio come questi disegni sulla neve. La tua è davvero una mano felice come quella della natura. Quanta ricerca nasconde la spontaneità? Come preservare nel tempo la naturalezza di una visione senza lasciare che il manierismo arrivi a complicare la semplicità?
La semplicità è una sensazione che devo sentire dopo tanto, tantissimo lavoro. La mano deve assecondare tutti gli organi di sentimento: testa, cuore, pancia. Cerco sempre il miracolo che vuole dire disponibilità all’imprevisto. Lavoro con l’acqua senza disegnare prima e questo richiede coraggio e disponibilità al fallimento. Sono pittore fallito e improvvisato e questa sensazione me la voglio custodire sempre. Non mi sento professionista e non mi sembra di aver fatto cose compiute o degne di essere chiamate opere ma sono prove le mie sempre in costruzione. Cantieri sempre aperti che chiedono di essere finiti dallo sguardo e dal pensiero di chi guarda le mie immagini.
Un albero antico, primigenio, è anche l’inizio del tuo ultimo albo “Pinocchio prima di Pinocchio”. In questo libro tracci sulla punta di un pennello, la storia di una genesi, di un ramo che ha assorbito la vita prima di intraprendere il suo percorso nel mondo. Qui, accanto al vecchio Tasso, si può sentire scorrere la linfa oltre la corteccia rugosa. Non occorre appoggiare l’orecchio, l’energia che questo albero trasmette è così limpida che la si può perfino vedere. C’è un luogo, un giardino, che ha rappresentato per te un punto di partenza e che, in qualche modo, ha influenzato il tuo sguardo?
La terra dove ho vissuto e tutt’ora vivo mi è sempre stata di grande guida. L’assenza di cose e la privazione di immagini ingombranti come palazzi e costruzioni moderne hanno nutrito il mio sguardo. La nebbia in primis è stata la mia maestra di visione interiore. Quando non vedi niente devi immaginare e allora ho cominciato fin da bambini a coltivare immagini interne, segrete che poi non per forza disegnavo ma mi portavo della stiva dei ricordi, nel ripostiglio dei miei sogni ad occhi aperti.
Un’improvvisa folata di vento solleva briciole di neve e un mulinello trasparente splende per un attimo sotto i raggi del sole e scompare. E’ bastato questo tocco di vento per dare al paesaggio un nuova sfumatura: alcune impronte sono meno decise, il tronco splende di una polvere dorata e i rami del tasso hanno scrollato un po’ di neve disegnando un profilo più netto contro l’azzurro del cielo. Sembreranno dettagli, ma io so, caro Alessandro, che ogni particolare ha per te la sua precisa importanza. Eppure come il vento che passa e trasforma anche le tue tavole ci parlano di un’esecuzione veloce, precisa e mai casuale. Come conciliare l’amore per il dettaglio e la prepotente bellezza dell’acquerello che scivola e assorbe acqua e colore tanto velocemente?
La mia è una disponibilità simile all’ingenuità che mi porto dietro per natura. Quando disegno e dipingo sono stupido nel senso che sono disposto a scoprire tutto daccapo ogni volta. I miei occhi si impressionano sempre e sempre allo stesso modo. Devo stupirmi io stesso della magia dell’acqua altrimenti butto tutto perché intravedo una maniera sapiente e prepotente che prende le redine della mia energia e vuole domare il mistero. Il mistero per me è l’ingrediente che inseguo sempre quando mi metto sul foglio.
Aria e acqua. La neve è l’unione felice di due elementi tanto simili eppure così diversi. La neve non si afferra, si può solo godere della sua bellezza, si può bere, si può osservare danzare, ma sfugge veloce al nostro controllo. Ho sempre pensato che l’acquerello sia una tecnica per cuori impavidi e che meglio di altre tecniche riesca a stabilire un legame profondo tra il foglio e il proprio immaginario. Deve essere chiara la visione o meglio affidarsi all’imprevedibile scivolare dell’acqua?
L’acqua è un segreto indicibile che ogni volta si nasconde e tace. Con il pennello provo a chiamare l’energia ma quasi sempre non c’è risposta. Dopo tanto silenzio ecco che arriva una risposta sussurrata e inaspettata proprio quando si stava decidendo di gettare la spugna. Lì devo arrivare ogni volta e ogni volta la stessa grande fatica che ogni volta mi fa dubitare seriamente sulle mie qualità. Mi faccio maltrattare e deridere dall’acqua che ogni volta mi prende in giro e mi chiede di ritornare ignorante e impotente. Questo richiede esercizio di umiltà misto ad ingenuità che devono sempre abitare nel mio animo.
Il modo con cui tu usi l’acquerello in “Fiume lento” o ne “La balena” è talmente potente da far restare senza fiato, come adesso che il cielo in un attimo si è oscurato e si gonfia di nuvole e vento. L’acqua, la terra, il tuo luogo d’origine…la bella Mantova; forse l’acquerello è una tecnica che non poteva non appartenerti. Se posso chiederti: cosa succede dentro un’artista quando si concentra sul foglio? Quali storie, fiabe e mondi emettono un’eco dentro di te?
Tutto accade da solo. Sono terrorizzato dalla mia volontà. Non mi fido quasi mai delle mie idee e provo a dare una pennellata che mi deconcentri. Come diceva Eduardo De Filippo: “l’attore deve sempre rendersi la vita difficile”. La stessa cosa nella pittura. Cerco una forte energia che vada oltre la mia volontà. Tutto qui.
La neve inizia a cadere. Il tasso sembra più solitario che mai ora che si staglia immenso sulla linea di questo orizzonte grigio eppure evanescente. Qualcosa freme nel nostro sguardo mentre ci allontaniamo e lo osserviamo da lontano. Vicino, lontano, lo sguardo su un albo può avere tante angolazioni, ma quando pensi allo sguardo di un bambino sulle tue opere cosa vedi?
Il bambino sono io che gioco con gli strumenti da disegno e che poi si gode le immagini facendo versi e improvvisando canzoncine per accompagnare il suono del cielo, si un animale in corsa, di una albero scosso dal vento.
La sera è scesa prima in questa giornata di dicembre così vicina al solstizio e le sue ore si dilatano dentro al paesaggio innevato. Alessandro credo voglia passeggiare da solo, sono attimi preziosi quelli nella neve. Buona passeggiata e grazie per essere stato con noi.
Grazie di avermi fatto compagnia. Davvero grazie.
Breve biografia
Alessandro Sanna vive a Mantova, e insegna Illustrazione all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Appassionato lettore e disegnatore fin dall’infanzia, collabora con la versione francese di «Vanity Fair» e illustra libri per bambini e per adulti tradotti in tutto il mondo. Tra la sua copiosissima produzione, ricordiamo Hai mai visto Mondrian? (Artebambini, 2005, con il quale vince il Premio Andersen), Una casa, la mia casa (Corraini, 2009), La mamma (EMME edizioni, 2011), la serie di Mano Felice (Franco Cosimo Panini, 2012), e Fiume lento (Rizzoli, 2013).
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