La saga de “La banda dei cinque”

La banda dei cinque

saga di Enid Blyton, edito da Mondadori.

Molto controversa è la critica sui libri di Enid Blyton, scrittrice inglese di grande successo, nata nel 1897 e morta nel 1968. La sua vita privata è stata spesso fonte di scandali e il suo carattere irascibile e autoritario non le ha di certo attirato le simpatie dell’opinione pubblica né dei colleghi scrittori.

Donna e scrittrice complessa, Enid Blyton merita di essere conosciuta in primo luogo per i suoi numerosissimi romanzi per bambini e ragazzi, di cui le avventure “dei cinque” costituiscono un luminoso esempio. Incredibilmente prolifica, Enid Blyton era capace di scrivere un romanzo in cinque giorni. Dalle sue lettere e dalla sua biografia si evince che non le piaceva pensare ad un libro prima di impugnare la penna: le parole affioravano via via nelle sua mente e la storia si disegnava da sola pagina dopo pagina.

Avendo scritto per molto tempo anche romanzi a puntate su prestigiose riviste, il gusto e il senso della suspense erano ben radicati in lei e questo le ha permesso di creare storie decisamente avvincenti che tengono il giovane lettore con il fiato sospeso fino alla soluzione finale.

Enid Blyton sosteneva di conoscere i bambini e di sapere come catturare la loro attenzione. Questo modo di scrivere in cui si tengono ben presente i propri interlocutori ha portato la critica letteraria a giudicare i romanzi di Enid Blyton sciatti, troppo “a misura”, pieni di un lessico ammiccante e con una trama che non cede mai il passo a descrizioni complesse o a digressioni psicologiche sui personaggi.

Umilmente mi permetto di dissentire, ma, prima di spiegarvi perché, credo occorra una precisazione.

Enid Blyton scrive i 15 libri delle avventure della “Banda dei cinque” (in Italia ne sono usciti, per ora, 13) tra il 1942 e il 1956. Al tempo non era ancora stato definito il genere “letteratura per ragazzi” con la stessa esattezza con cui lo individuiamo oggi in una libreria contemporanea, né tanto meno era stato coniato il termine “young adults”. La stessa Blyton è stata una scrittrice importante per iniziare a ragionare su un genere letterario fino ad allora riconosciuto in via solo ufficiosa (tanto per farvi capire, Enid Blyton è oggi designata, sia in virtù del suo successo sia per il genere avventuroso e fantasioso dei suoi racconti e dei suoi romanzi, come l’antesignana di J.K. Rowling). Tuttavia, nonostante la produzione per ragazzi non fosse ancora definita entro un genere letterario dai contorni precisi, l’Inghilterra conosceva perfettamente cosa significasse scrivere per bambini e ragazzi; ma dopo la prima guerra mondiale le modalità di questa scrittura cambiarono radicalmente: se l’Inghilterra a cavallo del secolo fu la patria del grande romanzo di formazione da un lato e del romanzo d’evasione dall’altro, dopo la seconda guerra mondiale gli scrittori iniziarono a sperimentare generi nuovi, a metà via tra i romanzi di formazione e di evasione, attingendo non solo alla tradizione letteraria, ma anche ai nuovi media. Le trame si velocizzarono, il fantasy iniziò a profilarsi all’orizzonte e anche l’illustrazione cominciò a sentire le influenze delle avanguardie artistiche. Un grande cambiamento era in atto ed Enid Blyton ne prese senz’altro parte.

La scrittura però, a dispetto di quanto dissero i critici del tempo, non si fece più sciatta, almeno non in Enid Blyton, i cui romanzi trovo gradevolissimi e pieni di grazia. Tuttavia sorge in me una domanda: se nell’Inghilterra degli anni ’50 la scrittura della Blyton appariva impoverita rispetto alla produzione precedente, mentre a noi oggi la sua prosa risulta quasi ricercata, quali sono i metri di paragone degli anni ’40 prima e degli anni 2000 poi?

La critica letteraria di metà del secolo scorso aveva come riferimento “Il giardino segreto”, “Grandi speranze”, “Peter Pan”, “Kim”, per storcere il naso davanti alla “Banda dei cinque”; ma cosa fa sembrare a noi raffinata la scrittura della Blyton?

La risposta forse è che ad oggi, a parte rare eccezioni, la fascia dei bambini tra gli otto e i dodici anni appare abbandonata a sé stessa; infatti si trovano al più alcuni libri scritti a tavolino che raggiungono risultati – ahimè! – piuttosto mediocri.
Sì, è vero: anche Enid Blyton scriveva i suoi romanzi avendo ben in mente i suoi interlocutori, come ho scritto in precedenza, ma trovo ci sia un evidente talento nella penna di questa donna che tanto a

mava i ragazzi.
Quindi oggi consiglio senz’altro i suoi romanzi ai miei giovani lettori perché sono pieni di avventura, quell’avventura a misura di un bambino che ancora ama giocare e figurarsi in storie piene di trappole e pericoli. Ricordo bene i miei dieci anni, era l’età in cui giocavo al detective, quando mi immaginavo a gestire un canile (e Enid Blyton ben conosceva l’amore dei bambini verso gli animali, tanto che nella banda dei cinque il cane di Anne, Timmy, è un protagonista indiscusso), quando ogni gita diventava il pretesto per cercare rifugi, luoghi nascosti o passaggi segreti, e quando si inventavano alfabeti misteriosi per comunicazioni top-secret.

Ecco: nelle trame dei romanzi dedicati alla “Banda dei cinque”, Enid Blyton inserisce tutti questi ingredienti, mescolandoli insieme in modo mai banale, con una scrittura disinvolta e un’immaginazione travolgente; e sebbene l’adulto possa trovare alcuni passaggi prevedibili, bisogna in questo caso provare a mettersi nei panni dei bambini e pensare che quello che per l’adulto è – forse – ormai scontato, a 9, 10 e 11 anni è ancora tutto da scoprire. Ed è giusto che sia così.

Quindi capisco le critiche mosse al tempo ad Enid Blyton: leggere “Il giardino segreto” non è leggere la “Banda dei cinque”, specialmente per un adulto che in quei capolavori eterni trova da sempre l’eco di qualcosa di profondamente personale. Ma è anche vero che accanto ad una letteratura immortale che trascende le età ed i generi (e che sempre come libraia sosterrò e incoraggerò), esiste una buona letteratura, dignitosa e di tutto rispetto, che ancora oggi, a distanza di settant’anni, riesce ad appassionare il giovane lettore senza privarlo di una bella prosa, di una trama avventurosa e di un finale positivo (perché in fondo tutte le nostre avventure da bambini finivano bene e ci vedevano vittoriosi).

P.S.: Enid Blyton fu accusata, tra le altre cose, di razzismo e xenofobia per alcune espressioni usate nei suoi libri e per la descrizione di alcuni personaggi. Mi sono molto documentata in merito e dopo aver letto diverse recensioni, giornali del periodo e dichiarazioni delle case editrici che nel corso degli anni pubblicarono in Inghilterra i romanzi e i racconti di Enid Blyton, mi sono persuasa che le critiche mosse in tal senso siano irrilevanti. Del resto, senza sapere di tali rimostranze, la mia lettura dei romanzi della “Banda dei cinque” non è stata turbata da annotazioni razziste o xenofobe; sì, Anne ha i capelli corti e viene scambiata per un maschio e pare che la cosa non le dispiaccia (e questo fece credere che l’autrice non volesse dar spazio a protagoniste che affermano la propria femminilità); nell’episodio “Il passaggio segreto” c’è un bambino chiamato con il soprannome di “carboncino” per via del colore della sua pelle, ma mi è sembrato un appellativo affettuoso, tanto più che il bambino, per via della sua astuzia e del suo temperamento audace, diventa sempre più importante ai fini della trama… Insomma, forse nell’Inghilterra degli anni 50 vi era una sensibilità eccessiva per certe questioni, “un politicamente corretto” che oggi non ha più senso di esistere nel cuore dei nostri ragazzi.

E forse, paradossalmente, un po’ di xenofobia serpeggiava invece tra i critici di Enid Blyton, che di certo fu una persona controversa, poco amabile e con una vita privata disastrosa, ma fu anche una scrittrice donna di grande successo, e questo probabilmente attirò su di lei delle critiche immeritate (per esempio fu spesso accusata di plagio – cosa per altro mai dimostrata – per via della sua incredibile forza creativa che le permetteva di sfornare romanzi su romanzi e di restare mesi in cima alle vendite: forse era più facile pensare che attingesse da altri o che avesse una schiera di ghost writer al suo servizio piuttosto di ammettere che anche una donna potesse avere una tale dedizione per il suo lavoro).

Inoltre – come mi capita spesso di dire – sono proprio i libri e non i volti, le vite o le vicende private degli autori che fanno di uno scrittore uno scrittore di valore.

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