Questa recensione è apparsa sulla neswletter di gennaio 2018.
“Essere bambini era: cadere, urlare nelle gallerie, fare la pipì nella vasca da bagno, avere i pidocchi, non saltare con troppo slancio sui marciapiedi, combattere con gli occhiali, andare in altalena e vomitare, non toccare il pavimento!, fare roteare il cestino della merenda, giocare a mammapapàfiglio, raccogliere cocci…”
Amo da sempre i libri che sanno raccontare l’infanzia perché in quei libri i lettori possono ritrovare un pezzetto di sé; ma affinché questo possa accadere la storia deve essere autentica, deve avere un sapore ferroso e dolce come il sangue dal naso.
Eppure non è affatto scontato ricordare la propria infanzia con i sapori, gli odori, le meravigliose epifanie nascoste dentro certi armadi o certi cassetti, la voce dei nonni, le loro parole, ciò che credevi vero o ciò che invece immaginavi lo fosse.
Nadia Budde in questo libro che è una grafic novel, ci restituisce la sua memoria bambina con una tale intensità, originalità e spensieratezza che davvero poco importa che abbiate o meno vissuto nella Germania Est degli anni Settanta: la letteratura vivifica i ricordi rendendoli parte di ciascuno di noi.
E viene da chiedersi? Non ci sarà forse qualcosa di universale nell’infanzia in grado di reificare la memoria di ognuno con una dolcezza così vicina alla commozione da farci chiudere i buoni libri con un sospiro di malinconia? Non vi resta che leggere “Sangue dal naso” e scoprirlo da voi.