Conosco una persona speciale. L’ho incontrata in libreria circa un anno fa. Non sono solita intrattenere rapporti amicali profondi con i miei lettori, e questo per svariati motivi. Come libraia sono affabile e chiacchiero molto volentieri, ascolto confidenze e cerco di venire in aiuto a chi mi chiede consiglio, ma non mi spingo più in là della soglia della libreria; ma Diu ha lentamente abbattuto le mie difese e con grazia ed estrema delicatezza, ha lasciato che io costruissi un sentiero fino a lei, fino alla sua casa.
La sua casa sembra la casa della mia infanzia: stesse porte, stessa disposizione delle camere, stesso bagno; il balcone ha le veneziane verdi, la vista dal terrazzo della cucina dà su degli orti ben curati e, come da piccola, starei ore appoggiata al parapetto a contemplare l’apparente immobilità degli albicocchi e del rosmarino; il marciapiede intorno al condominio è identico a quello su cui facevo le gare in bicicletta o in cui, nei pomeriggi noiosi, cercavo strani animali nelle forme irregolari dei pietroni; l’antro delle scale ha il profumo del pentolone per la conserva di fine estate, misto a polpette al sugo e all’odore sanguigno della ringhiera di ferro. Insomma varcare la soglia della casa di Diu è come fare un tuffo nei ricordi. Ho pensato che non poteva essere un caso e continuo a pensarlo, soprattutto dopo ieri, un lunedì qualunque diventato improvvisamente una domenica.
Non ero sola, con me c’era anche mio figlio. Giulio non vede l’ora di andare a casa di Diu, di giocare con i suoi figli, specie con Enrico di sette anni. A casa di Diu c’è una bella luce, le finestre della sala e della cucina creano una deliziosa corrente d’aria e tutto in quelle stanze profuma di buono e di vita.
Da poco a casa di Diu è arrivata una nuova libreria: uno scaffale a giorno ricavato da un pallet. Il salotto di Ester ed Enrico sembra ora una succursale di Radice-Labirinto, una porzione della nostra libreria in cui ritrovare titoli amati, autori importanti, storie belle. I bambini di Diu amano leggere, leggono appena svegli, leggono durante il giorno e prima di andare a dormire; sanno quali sono i libri preferiti della loro mamma, quelli che lei non si rifiuterebbe di leggere nemmeno quando la sera le si chiudono gli occhi dalla stanchezza; sanno che regali desiderare quando compiono gli anni o arriva Natale. I bambini di Diu sono bambini felici, hanno i loro piccoli dolori celati nel cuore come tutti i bambini del mondo, ma come tutti i bambini felici emanano un’energia particolare e unica.
Ho pensato a molte cose dopo questa splendida giornata. Giulio si è addormentato in macchina e io ho lasciato che le emozioni affiorassero leggere sulla strada del ritorno.
I libri sono preziosi. Mi rendo conto che negli ultimi articoli ho forse dato ai miei lettori l’impressione di non essere così certa del loro valore, e in un qualche modo anche oggi vi risulterà poco chiaro quanto io sia devota alla letteratura per l’infanzia. Dicono che gli amori più profondi siano quelli in cui non si smette mai di cercare, di incuriosirsi, di domandare. Se è così, allora io amo i libri follemente perché continuo ad interrogarmi, giorno dopo giorno, sul loro valore, sul ruolo che ricoprono nella vita di un bambino, sul loro senso nella contemporaneità. Il mio rapporto con il libro è dinamico, instabile, conflittuale. E non è che non ami la pace e la tranquillità di una giornata passata in libreria a sistemare gli ultimi arrivi sullo scaffale, ma non posso tenere in mano un libro o un albo senza valutarne l’onestà intellettuale, i contenuti, la poetica e l’idea di bambino che traspare dalle sue pagine.
Ci sono libri coraggiosi, veri, profondi e ci sono libri superficiali, vuoti e ammiccanti. La differenza non è sempre così chiara. In ogni caso credo che ci sia una riflessione più importante da fare prima di chiedersi se un libro è onesto con il suo lettore o meno, e questa riflessione nasce dal pomeriggio trascorso a casa di Diu.
Non si può dire che Diu non sia un’appassionata di libri: ne compra moltissimi, ne legge moltissimi e li recensisce anche sul suo blog appena nato. Forse ne ha troppi, suo marito certamente lo pensa (anche se è felice della nuova libreria).
Molte mamme oggi comprano montagne di libri e devo ammettere che ritengo (a dispetto del fatto che sono una libraia e quindi dovrei godere di tanta generosità) ci sia del fanatismo dietro a tanta brama.
Tuttavia, tornando da casa di Diu, ho pensato che se il libro approda in una casa dove i bambini sono bambini e passano il pomeriggio a correre lungo i corridoi, a fare il bagno insieme nella vasca, a mangiare riso giallo e frittata intorno ad una tavola improvvisata all’ultimo momento, allora possono essere anche milioni di libri perchè ciò che prima di tutto conta è che il libro non sia una bella menzogna.
Sto scrivendo qualcosa di forte, ne sono consapevole. Per questo cercherò di spiegarmi il meglio possibile.
A cosa serve un libro? A diventare più intelligenti?
Se per intelligenza intendiamo saper interpretare la realtà non solo attraverso i suoi significati, ma anche attraverso il sentire del cuore e lo stupore, allora forse la risposta potrebbe essere sì. Ma anche a questo punto viene da chiedersi: cosa serve un libro se i bambini non sono liberi? Liberi di giocare, ridere, correre e stare insieme?
E lo so che molti di voi hanno bambini che fanno tutto questo e anche di più, ma sento comunque l’esigenza di scriverlo per fare in modo che questo possa non essere dimenticato. Lo scrivo perché a volte ho l’impressione che il libro vada a coprire dei vuoti di senso insondabili o perché, in modo più o meno inconsapevole, si pensa che possa far diventare i bambini più intelligenti, in gamba, ricchi e capaci.
Un libro bello arricchisce è vero, e può darsi che arricchisca tanto il bambino felice quanto quello infelice, ma oggi se i nostri figli siano felici o meno è una domanda che ci poniamo sempre meno spesso. Oggi prevale il fare sull’essere, il risultato sul processo. Dire che leggiamo per diventare più intelligenti ci suona meglio rispetto a dire “si legge per essere felici”. La felicità è un concetto talmente pulito e chiaro da spaventarci profondamente. Se dico “i bambini vengono al mondo per essere felici”, mi prendete probabilmente per una pazza new age; ma le verità più profonde sono sempre estremamente semplici e io, oggi, vedo il libro per bambini circondato da cose e pensieri complicati; e più lo spazio si riempie meno riusciamo a vedere l’essenziale. Siamo preoccupati che i nostri figli non vadano bene a scuola, che la scuola non faccia abbastanza per stimolare la loro intelligenza, che non li prepari in modo adeguato a …che? Alla vita? Al lavoro?
Un libro diventa una bella menzogna (anche il libro migliore del mondo) quando promuove il bello per il il bello, quando si perde dentro ad un concetto specifico lasciandosi sfuggire il senso generale, quando perde di vista il bambino o arriva in una casa (o in una scuola) dove il bambino non è libero.
Non tutti i bambini amano leggere, specialmente di questi tempi. E non parlo solo della fascia 0-6 che tra le altre è la più privilegiata sia da un punto di vista commerciale che intenzionale, ma anche della fascia che va dai 6 a 12 anni. Ma come avvicinarsi al gusto della lettura se non si è liberi o non lo si è stati? Non vale anche per noi adulti, che alla sera arriviamo sfiniti e vogliamo solo svuotare la testa davanti alla televisione? Siamo forse liberi di scegliere quando la vita ci sfianca a tal punto che l’unica libertà possibile è quella di non pensare e di abbandonarci sul divano? E badate che la vita contemporanea non ci stanca nel corpo (quello cede di conseguenza), ma nella testa.
Grazie agli incontri dedicati a maestre e genitori promossi dalla libreria, ho la possibilità di entrare in molte scuole. Quello che noto è che sempre di più il libro è utilizzato come strumento didattico e pedagogico, utilizzato per la costruzione di laboratori in percorsi specifici e tematici, vedo un libro animato, interpretato, sviscerato. Il libro utilizzato per il gusto della storia è grandemente bistrattato. Cosa ce ne facciamo di un libro se non insegna nulla, se non lo possiamo usare dentro ad un progetto sulle emozioni, sulla paura, sulla felicità?
Quante maestre entrano in libreria e mi chiedono: “Stiamo facendo un progetto sulle emozioni, ci sono dei libri che possano fare al caso nostro?”. A me verrebbe da rispondere: tutti! Ma quello che loro cercano è un libro che analizzi le emozioni una a una: l’amore, la rabbia, il coraggio, l’amicizia… Così poi il bambino le interiorizza e le capisce. Capire? Se chiedo a voi di dirmi cosa sia la felicità voi mi sapreste rispondere? E la rabbia? E l’amore?
Si va a finire sempre lì, a quel bambino cognitivo che deve tutto capire, interiorizzare, analizzare. E se semplicemente imparasse a sentire? Allora non ci sarebbe bisogno di un libro specifico, ma di una storia bella, di una fiaba, di un racconto del suo quotidiano ( e sappiamo bene quanto ai bambini piaccia sentirsi raccontare ciò che hanno appena vissuto).
I bambini oggi sono continuamente stimolati a capire, comprendere, ma per nulla a sentire.
Ve l’ho detto: la nostra è scuola del fare (ne parlano tutti in termini entusiastici), ma io auspico il ritorno ( o meglio la nascita) di una scuola dell’essere.
Anche l’editoria sta andando verso questa deformazione del fare, e maestre e genitori si lasciano travolgere da questa smania di insegnare le cose attraverso i libri.
Le case si riempiono, le teste pure; leggiamo ai nostri figli senza sosta milioni di libri e siamo anche orgogliosi di farlo, recensiamo, analizziamo… e poi?
(Sono consapevole che molti genitori non sanno nemmeno cosa sia un libro per bambini, ma io mi rivolgo al mio pubblico che se sta leggendo il blog di una libreria ha già un grado percorso un pezzetto di strada.)
Corrono questi bambini? Li lasciamo liberi di stupirsi del mondo prima di meravigliarsi del mondo dentro ai libri? Lottano tra loro? Ridono? Giocano da soli in giardino? Hanno degli spazi vuoti? Fanno il bagno insieme? Vanno a trovare gli amici a casa?
Potrò sembrarvi pazza, ma io credo che il libro serva a poco se prima un bambino non può fare il bambino.
Le nostre scuole sono diventate delle officine, dove si fanno assemblee, dove si mangia alle 11,15, dove si fa pipì tutti nello stesso momento, dove si documenta e si spreme il bambino come un limone per ottenere succhi di meraviglia, frasi ad effetto, dove ci si complimenta con le maestre per l’ottimo lavoro di documentazione, dove si valuta l’efficienza di una scuola in base a quanto fa, produce, organizza. Io penso che dietro questa visione d’infanzia ci sia un potentissimo horror vacui, ovvero paura del vuoto. E le teste si riempiono di libri, le case si riempiono di libri e poi i bambini arrivano a sei anni che già non ne possono più di imparare.
“Ah non ci sono più i bambini di una volta!” mi dicono le maestre di lungo corso; ma io dico che l’ultimo bambino della classe di una scuola del 2015 (sia materna che elementare) darebbe la paga al bambino di trent’anni fa. Super stimolato, super seguito, super monitorato; non è stato libero nemmeno un po’, ma ha più sinapsi lui di un computer. Il bambino di trenta anni fa era più lento, tranquillo, meno iperattivo e forse sapeva di più perchè capiva di più, aveva tempo di riflettere sulle cose; o forse il bambino di trent’anni fa era semplicemente più libero.
Guardiamoli questi bambini così detti iperattivi: secondo il mio modesto parere sono i più intelligenti di tutti primo perchè sono i più sensibili agli stimoli e secondo perché tentano con tutte le loro forze di sentire, di collegare il corpo alla testa, di riconnettersi con la terra. Gli proponete un libro? Lo rifiuteranno perchè sono “cotti, lessi e mangiati”. Vogliono sentire i muscoli muoversi, il cuore battere, voglio sentire davvero con tutti i sensi; loro amano l’Orco perchè sente la presenza dei bambini con solo l’uso dell’olfatto (organo abbondantemente sottovalutato dalla nostra cultura), le streghe perché volano e mescolano intrugli, Barbablu perché ha a che fare con il sangue; questi bambini vogliono correre per sentir mancare il fiato e accorgersi di essere vivi. Come pretendere che leggano e stiano attenti se sono continuamente sovrastimolati? Non hanno ancora messo un piede nel mondo e già si sentono cantare perche così saranno in grado di interpretare la musica, si sentono leggere perché così saranno più intelligenti, si sentono parlare in inglese così saranno cittadini cosmopoliti ( però intanto il mondo diventa di tutti e noi non lo accettiamo).
I bambini furiosi sono i miei preferiti: entrano in libreria e non guardano niente, ma toccano, annusano, salgono sui tavoli. Cosa si può fare? Per prima cosa lasciarli liberi, poi se volete potete narrare loro una fiaba occhi negli occhi perché narrando voi gli confermate che sono vivi e che essi esistono nel vostro cuore. Lasciate perdere i libri per un po’, non muore nessuno; lasciate quei furbastri degli albi illustrati al loro posto, sono certamente più lenti della televisione e nascondono tesori, ma gli parlano ancora attraverso le immagini e questi bambini furiosi sono circondati continuamente da immagini. Lasciate tranquilli gli occhi e cullate la loro sete di storie. E non fatelo prima che abbiano corso e saltato e annusato l’erba, prima che si siano arrampicati su un albero, lanciati giù dagli scalini, prima che abbiano riso a crepapelle, prima del gioco del cucù.
Pensate se trovassimo la forza ogni sera tornati dal lavoro di andare a correre, di percepire il nostro corpo in movimento e non solo la testa, non ci sentiremmo più interi, connessi, equilibrati? Mettere un piede davanti all’altro, sentire la terra, sentire il battito del cuore che accelera, lasciare che i pensieri si sciolgano, ci fa sentire bene.
Ai libri o ci si arriva liberi o non servono a niente.
E per essere liberi i bambini hanno bisogno di spazi vuoti, ma vuoti davvero. Dove vuoto è una scuola che ha un immenso giardino e lascia che i bambini stiano fuori ore, dove vuoto è lasciare che non tutto venga documentato, archiviato, decifrato; dove vuoto è un pomeriggio a casa di amici.
Allora io sono convinta che il bambino di sei anni tornerà a leggere sereno, che vorrà ancora stupirsi dentro una storia. Se già fate tutto questo, allora riempite la vostra casa di libri, albi, enciclopedie; fatevi costruire nuovi scaffali per contenere tutto ciò che amate, e leggete, leggete, leggete… e siate felici.
Tutte le illustrazioni dell’articolo sono di Gerda Muller.
3 pensieri su “A casa di Diu”
Complimenti, come sempre, Alessia e grazie per i tuoi spunti di riflessione. Mi piacerebbe poter visitare il blog di Diu…..Mari
https://unlibroancora.wordpress.com/
Ecco il link del mio blog!
Grazie
Diu
Buongiorno, complimenti per il post. A proposito, cito “Non si può dire che Diu non sia un’appassionata di libri: ne compra moltissimi, ne legge moltissimi e li recensisce anche sul suo blog appena nato.”
Posso avere il link al suo sito?
Grazie e buona giornata