Libri Scomodi

Il mio ultimo articolo “Libro elegante, libro distante?” ha aperto un’accesa discussione tra editori, lettori, e scrittrici di blog di letteratura per l’infanzia. Dato che il titolo includeva una domanda era prevedibile, e aggiungerei auspicabile, che da più parti giungessero delle risposte.
Ho lasciato diversi commenti alle discussioni che sono nate su Fb, ma ho pensato che fosse giusto chiarire alcuni punti anche sul blog di Radice-Labirinto così che tutti potessero partecipare.

 

Illustrazione di Renato Moriconi
Illustrazione di Renato Moriconi

 

Il senso di questo blog

Con tono garbato, e mettendo spesso in dubbio la validità della mia riflessione (perché io stessa non sono ancora riuscita a stabilire cosa provochi la distanza tra alcuni albi e i lettori), ho iniziato a tracciare la strada di un’ipotesi plausibile.

Il blog “Pensare i libri” è un luogo dove di volta in volta racconto pensieri e riflessioni che nascono dal mio mestiere di libraia. Posso certamente affermare di scrivere sempre con umiltà, sincerità e soprattutto in piena libertà. Se qualcuno trova interessante ciò che scrivo ne sono felice, ma non scrivo mai i miei articoli né per demolire, né per innalzare, ma solo per condividere.

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L’uomo dei Palloncini di Giovanna Zoboli e Simone Rea, Topipittori

 

Libri ed infanzia

L’ampia discussione che è nata dal mio ultimo articolo, ha visto al centro della riflessione l’albo illustrato di Giovanna Zoboli “L’uomo dei palloncini”, tanto che la stessa Giovanna Zoboli mi ha dedicato, con mia sorpresa e gioia, un articolo nel blog di “Topipittori”.
E’ stato un piacere leggere come è nato l’albo “L’uomo dei palloncini” e non è certo cosa di tutti i giorni, ascoltare una scrittrice raccontare la genesi di un libro.

Giovanna Zoboli scrive:

L’uomo dei palloncini nasce non dalla nostalgia per la mia infanzia o un momento particolare di essa, ma dall’avere osservato, una sera di qualche anno fa, dalla finestra di una casa in una cittadina appenninica, un giovane uomo che faceva quel mestiere.

Le motivazioni che hanno spinto Giovanna Zoboli a scrivere sono tutte legate a esperienze infantili molto forti. E le elenca sotto forma di domanda:

Come ha fatto il mondo a esserci se io non esistevo? Come era prima?

Come fa una persona che non mi conosce a conoscermi così bene? Come fa a sapere chi sono, di cosa ho bisogno?

Come mai la notte il mondo non scompare, le cose non si annullano nel buio?

E se immedesimarsi in un bambino lettore è quasi impossibile, forse non lo è recuperare i dubbi, le domande, le sorprese che hanno attraversato la nostra infanzia, specialmente se la memoria di quel tempo è vivida e forte.

Elisabetta Cremaschi ha dedicato, proprio in questi giorni, un’interessantissima recensione a “L’uomo dei palloncini” che vi consiglio caldamente di leggere.
Con la competenza e la ricchezza che la contraddistinguono, Elisabetta Cremaschi parla dell’uomo dei palloncini come di un archetipo e lo paragona ad un’altra figura mitica della letteratura per l’infanzia, Mary Poppins.

Mi sono molto emozionata nel leggere l’articolo di Elisabetta e ho riflettuto a lungo sulle parole di Giovanna Zoboli.

In un commento al mio articolo Paolo Canton, fondatore insieme a Giovanna Zoboli della casa editrice Topipittori, parla di libri “scomodi”, nei quali bambini, e adulti, non dimorano subito volentieri, ma che sono fondamentali per far nascere domande e generare imprevisti (per la gioia della nostra immaginazione).

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Illustrazione di Simone Rea da “L’uomo dei palloncini”

 

Dalla parte dei libri scomodi

Alla luce di tutto ciò non vorrei essere stata fraintesa.
Come libraia sono completamente a favore dei libri scomodi: ne possiedo a centinaia sia a casa che in libreria. Per credermi vi basta sfogliare i miei articoli, i miei consigli di lettura o passare una giornata con me in libreria per capire che non può essere questo il punto della discussione.

Quando Giovanna Zoboli scrive

Se empiricamente stabiliamo che a molti bambini piace di più il coniglio dei cereali Nesquik rispetto alle illustrazioni di Mattotti per Hansel e Gretel, cosa significherà? Che i bambini sono più esposti a immagini pubblicitarie o che Mattotti non è un illustratore adatto all’infanzia? Che la Nesquik ha sfruttato la popolarità planetaria di un celebre coniglio dei cartoni animati o che la fiaba dei Grimm è inadatta a essere illustrata per i bambini di oggi perché propone loro un immaginario negativo e spaventevole?

mi trova completamente d’accordo. Intraprendo ogni giorno questo tipo di dialogo con genitori, nonni e insegnanti per cercare di sgominare la supremazia di un segno su un altro e per eliminare un certo tipo di pregiudizio dalla letteratura per l’infanzia.

Il perchè di un articolo
Illustrazione di Remy Charlip
Illustrazione di Remy Charlip

La mia riflessione nell’articolo “Libro elegante, libro distante?” non voleva in alcun modo alimentare quel pregiudizio o allontanare il lettore dai libri “scomodi”, ma voleva andare a scovare il perché certi albi risultino così lontani dai bambini.

In più parti dell’articolo sottolineo che i bambini sono diversi e hanno competenze e attitudini differenti e che sono lettori perspicaci.

Sia “Se vuoi vedere una balena” sia “L’uomo dei palloncini” sono albi che mi sono cari e che apprezzo. Eppure un conto è parlare di libri che ammiriamo e che vorremmo finissero nelle case di tutti i bambini, un altro è cercare di portare avanti un’analisi sul perché certi albi piacciono e altri no, sospendendo il giudizio.

Ogni libreria è a sé, ma tutte si trovano ad un certo punto a mettere tra le rese qualche copia di un albo prezioso che però da troppo tempo giace invenduto sullo scaffale. E non importa quante volte è stato presentato, quante volte è stato portato a scuola durante una formazione, quante volte lo abbiamo raccontato, accarezzato e amato.

Illustrazione di Remy Charlip
Illustrazione di Remy Charlip

 

Libro per adulti, libro per bambini

Forse sarebbe stato meglio non citare titoli e autori e parlare in generale del problema “albo per adulti o albo per bambini”; o meglio ancora dire che questa distinzione non esiste. Perché di fatto, è vero, non esiste.

Non c’è l’universo indistinto dei bambini a cui viene dedicata certa parte della letteratura, ci sono solo i singoli lettori. Noi librai lo sappiamo bene, noi che spendiamo gran parte del nostro tempo a leggere più libri possibili ai nostri clienti, grandi o piccoli che siano, offrendo loro la possibilità di scegliere il libro, l’albo, la storia che più li ha colpiti. E non pensate che tra quegli albi non ci siano “L’uomo dei palloncini” o “Se vuoi vedere una balena”. Ci sono eccome! E ci sono tanti altri albi più o meno comodi.

Ma che lo si accetti o no, che se ne voglia parlare o no, in una libreria questa distinzione viene fatta, e i primi a sottolinearla sono gli adulti.

Parlando di libri per adulti e di libri per bambini ero consapevole di correre il rischio di alimentare questo annoso problema con cui tutti i più attenti editori combattono ogni giorno per non creare, per certi albi, delle vere e proprie “riserva indiane” all’interno della letteratura per l’infanzia.

 

Illustrazione di Gilles Bachelet
Illustrazione di Gilles Bachelet

Se il bacino d’utenza soprannominato bambini non esiste in quanto non c’è un individuo uguale all’altro, che prova le stesse emozioni e ha gli stessi gusti e pensa le stesse cose, è altrettanto vero che esiste un bambino, ovvero una creatura in crescita, che si struttura giorno per giorno, che non è un piccolo adulto, ma un essere con una sua precisa entità.

Questo bambino è calato in un tempo storico preciso che via via ha dato all’immaginazione uno spazio sempre più ristretto, affidandola a immagini stereotipate e caotiche. Un tempo storico che, nel decretare la supremazia del linguaggio visivo, ha paradossalmente allontanato il bambino da un segno ricco e variegato per avvicinarlo ad un vocabolario sempre più scarno.

Questo bambino ha bisogno di aiuto, ma soprattutto ha bisogno di storie, di percepirsi nuovamente come essere narrante. Forse oggi di fronte ad un albo illustrato che contiene una storia molto rarefatta che si aggancia a figure potenti dell’infanzia non immediatamente riconoscibili o che portano a galla domande universali e archetipiche, qualche lettore-bambino e (anche molti adulti) si trova spaesato. Ha bisogno di un aiuto per essere traghettato in quel tempo in cui la storia è nata.

 

Illustrazione di Gilles Bachelet
Illustrazione di Gilles Bachelet
Il potere della buona letteratura

Credo che la letteratura abbia il compito di farci vedere oltre il velo restituendoci la figura dell’uomo dei palloncini come vorremmo che fosse e per quello che è (ovvero un incantatore, un narratore) attingendo da quell’immaginario originale e archetipico dove abitano Mary Poppins e La Baba Jaga. Come potrei fare la libraia se non credessi a tutto questo?

Racconto fiabe e storie per restituire ai bambini quell’immaginario;  ma se oggi i bambini entrano in libreria e non sanno riconoscere in un albo la portata del suo messaggio, io mi sento quasi in dovere di chiedermi il perché. E allora ho chiamato nostalgia quell’andare in cerca di un’infanzia, forse mitica e ideale, dove l’uomo dei palloncini esiste, dove Mary Poppins esiste, per riportare da quel viaggio tutto lo splendore possibile e consegnarlo intatto ai bambini. Un viaggio fondamentale, e guai se non ci fossero dei palombari coraggiosi che lo intraprendono per restituircelo tra le pagine di un libro.

Ma come ci dobbiamo porre se quell’immaginario, per qualche ragione, non incanta più o non trova nella realtà l’amo a cui aggrapparsi? Forse occorre ripartire dalle storie.

Illustrazione di Simone Rea

Forse il bambino di oggi, quello che non ha avuto la fortuna di crescere tra libri e parole (ma anche quello che l’ha avuta la fortuna, ma si trova a vivere in una realtà veloce e caotica), quello che viene abbandonato davanti alla televisione o quello che entra in libreria accompagnato da un genitore che con fatica si confronta ogni giorno con l’infanzia, ha bisogno di essere preso per mano. E allora ha bisogno di una storia, forse di una fiaba. E’ pure possibile che al primo sguardo troverà in un albo “scomodo” un universo meraviglioso, ma questa non è la regola.

Noi librai, ma non solo, avremmo bisogno di un ponte per far accomodare quel bambino su una sedia scomoda. Se ciò non succede molti albi rischiano di essere definiti “per adulti” perché solo per loro saranno specchi in cui riconoscersi.

In questo senso mi chiedo se sia così sbagliato parlare di fruibilità, se con tale parola si intende la possibilità di vedere il libro come un mediatore di meraviglia tra un vuoto narrativo e un nuovo orizzonte di senso. E non è che non si preferisca parlare di cultura, di educazione all’immagine, al segno o alla parola; questi sono temi caldi per un libraio, ma a volte per arrivare a parlare di simili argomenti c’è bisogno di dare ai bambini delle storie.

E ciò non vuol dire che albi come “Se vuoi vedere una balena” o “L’uomo dei palloncini” debbano sparire da una libreria o peggio ancora da un catalogo: c’è un bambino che ha bisogno di loro come ne ho bisogno io per continuare a fare al meglio il mio lavoro, ma accanto a questi libri abbiamo anche la necessità di scrittrici brave come Giovanna Zoboli che ci aiutino a costruire quel ponte.

Un pensiero su “Libri Scomodi

  1. Cara Alessia, il fatto che tante persone intervengano sulla questione ‘libri adatti o no ai bambini’, mostra quanto sia centrale, ancora, nel nostro paese, e non solo. E’ importante che se ne discuta, da tanti punti di vista: riflettere su tutte le questioni sollevate fa bene a tutti, per evitare che le opinioni di ognuno di noi si cristallizzino e diventino stereotipi.
    Non ho alcuna incertezza riguardo al fatto che voi librai specializzati lavoriate bene e molto per chi, come noi, fra gli altri, fa i libri. E apprezzo quello che hai scritto, fra le altre cose, anche a proposito del mio lavoro.
    Che “L’uomo dei palloncini” possa convincere o no, i bambini o gli adulti, un lettore, o cento, mi sembra del tutto legittimo. Non sono intervenuta per questo in merito alla tua riflessione.
    Nel tuo post hai esposto una ipotesi sul libro per la quale ho avvertito necessaria una precisazione. Per chi scrive le parole hanno un’importanza fondamentale e io non mi sono riconosciuta nel concetto di nostalgia che hai messo a fuoco. Ribadisco che per me ‘nostalgia’ indica un atteggiamento nei confronti del passato che non ha parte nel mio processo di scrittura. E che il mio interesse nei confronti del mondo infantile non si fonda, per quanto mi riguarda, sul recupero personale di un passato perduto. Questo, magari, potrà anche sembrare una questione di lana caprina, come si dice, ma per uno scrittore non lo è perché ha conseguenze precise. La prima delle quali è strumentalizzare il mondo infantile a proprio beneficio. Per quel che mi riguarda, mi sento estranea a ogni forma di ammiccamento: che sia agli adulti o ai bambini. A proposito di questo, sul prossimo numero della rivista “Hamelin”, dedicata all’importanza delle storie e della narrazione in un’epoca dove le storie e la narrazione ormai sono ovunque, ho cercato di ragionare su cosa sia, e non sia, per me la pratica del raccontare. Quindi posso rimandare a quella lettura ogni approfondimento in questo senso.
    Detto ciò, sogno il giorno in cui un esperto, che sia libraio, giornalista, insegnante, bibliotecario, professore universitario, di un libro orrendo, fatto in economia di mezzi, mal scritto, mal pensato, mal concepito e disegnato e stampato e prodotto, come ce ne sono tanti sugli scaffali delle librerie, scriva che non è adatto ai bambini, e per la buona ragione che non è degno del loro tempo e della loro attenzione, che venda o no, che sia stato fatto da un piccolo o da un grande editore.

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