La neve di Maggio

Riflessioni intorno all’evento formativo
“Sentieri di tracce e cortecce, la forza resiliente della natura”
promosso dal Coordinamento Pedagogico del Comune di Carpi, dal Gruppo Nazionale nidi d’infanzia e dalla Cooperativa Argentovivo.
Tutte le fotografie del post sono di Silvia Marchesi.

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Premessa

La sera prima della partenza per Sella di Borgo Valsugana mi sono addormentata con la sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di magico. Oltre all’impressione di aver inevitabilmente dimenticato di aggiungere qualcosa di fondamentale in valigia, sono partita alla volta delle montagne di Trento con lo spirito di chi ha vinto un viaggio pescando un biglietto della lotteria.

La mia partecipazione non è stata certa fino all’ultimo poiché a questo corso di formazione organizzato dal comune di Carpi e dalla Cooperativa Argentovivo io, in qualità di libraria, non avrei potuto prendere parte. Si trattava infatti di un corso di aggiornamento per le maestre dei nidi d’infanzia e anche se è vero che in passato ho ricoperto il ruolo di educatrice, ora non lo sono più, almeno non nel senso stretto del termine.
Credo però che una libraia, specie se di una libreria per l’infanzia, i bambini li prenda per mano comunque e li aiuti a scegliere, se non la strada, forse la storia giusta, a trovare nelle parole e nelle illustrazioni qualche cosa che possono aver sognato o perso o dimenticato e, come una maestra, custodisce, sorregge e incoraggia molti piccoli gesti per la costruzione di un futuro migliore.

Questo pensiero sul ruolo educativo di una libraia deve essere stato condiviso anche dal coordinamento pedagogico che con entusiasmo ha accettato la mia richiesta di adesione per questo appuntamento di fine maggio.
Il corso di formazione verteva sul rapporto tra infanzia e natura, analizzando in particolare il concetto di resilienza, ovvero la capacità di un bambino di affrontare le difficoltà di un ambiente naturale, di superarle e di uscirne rinforzato e trasformato positivamente.
La libreria Radice-Labirinto dichiara, a partire dal nome che ha scelto per sé, i suoi intenti e la sua poetica delineandosi come una libreria per l’infanzia volta a promuovere non solo il libro, ma anche un ritorno alla natura che passi attraverso la selvatichezza, l’attenzione ai dettagli e ad un approccio il meno possibile mediato dall’adulto a favore di un ascolto spontaneo e diretto con la terra, gli alberi e tutto ciò che rende unico un paesaggio.

In qualità di libraia e ancora prima di persona curiosa, sento forte il dovere di continuare a formarmi; se poi le tematiche sono legate alla natura, l’attrazione è così forte che resistere alla tentazione di intrufolarmi mi risulta davvero difficile, anche se si tratta di “forzare” i limiti di ambiti che mi sarebbero altrimenti preclusi.
Fortunatamente il coordinamento di Carpi e la cooperativa Argentovivo sono entrambe realtà lungimiranti e hanno accolto il mio slancio con piacere, calore e disponibilità.
E se è vero che l’esperienza di uno può provocare l’interesse di molti, eccomi qui a raccontarvi le mie riflessioni.

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chiocciola-silvia-marchesiGli alberi sono verdissimi e sopra ogni cosa cadono grandi fiocchi di neve. E’ il 24 maggio e siamo a Sella di Borgo Valsugana. Un profumo di sottobosco si sprigiona dalla terra umida, le cortecce sono lucidissime e il ruscello che scorre accanto alla grande casa colonica dove alloggiamo è gonfio di pioggia.
Senza turbamento, né per il cambiamento climatico del pianeta né per i miei vestiti leggeri sotto la giacca impermeabile, mi godo la meraviglia di questo insolito incontro tra due stagioni. Sono intimamente convinta che una corrente d’aria fredda giunta dal polo non debba per forza essere attribuita ad un ecosistema malato e che la mescolanza del profumo dei fiori dei platani e il sentore di liquirizia che accompagna la neve è un regalo raro del destino della primavera.
Pervasa da un senso di stupore mi unisco al gruppo in esplorazione del bosco guidato da Alberto Rabitti, un insolito architetto del verde che osserva la terra, le foglie e le radici più con lo sguardo di un cercatore d’oro che di uno studioso. Lui dice che deve “prendere casa”, che a causa del maltempo non ha ancora avuto modo di esplorare la zona e che quindi, come noi, guarderà tutto per la prima volta. Le maestre sono disorientate. Nel mormorio generale si agitano alcune domande: “Quindi cosa facciamo?”, “Cosa ha detto? Lo seguiamo?”, “Dobbiamo prendere con noi dei sacchetti per i reperti?”… tutto intervallato da nasi soffiati e brividi di freddo.
paesaggio-silvia-marchesiLa mia esplorazione è iniziata, osservo non solo il bosco, ma anche le maestre, dai loro gesti e dalle loro parole cerco di capire le aspettative, i disagi, le cose che riescono a sorprenderle.

Ho voluto partecipare al corso di formazione in Valsugana perché il tema della natura mi è caro quanto il buon libro per ragazzi e perché credo che il nido e la scuola materna abbiano un ruolo importante nella vita di un bambino. Il seminario intorno ad Arte Sella mi offre la possibilità di vedere a confronto infanzia e natura, mi permette di arricchirmi nell’incontro con persone che stimo e in ultimo mi dà modo di approfondire alcuni pensieri che da tempo mi interessano.
Può la natura essere fonte inesauribile di apprendimenti e di crescita morale?
E’ possibile approcciarsi al giardino, al bosco e alla campagna senza sovrastrutture didattiche?
Esiste un messaggio implicito e profondissimo che la natura può trasmettere solo in virtù di un semplice contatto con essa?

funghi-silvia-marchesiIl gruppo pare essersi acclimatato e seguendo Alberto Rabitti inizia ad osservare il territorio: ci si guarda intorno alla ricerca di “spunti naturali” che possano suggerire temi di ricerca e sostenere pensieri divergenti rispetto al semplice utilizzo di una foglia e di un ramo. Cosa ci sembra la trama delle radici del tarassaco su un tappeto di ghiaia? In che modo la pioggia può rendere più interessante la corteccia degli alberi? Un albero piegato sotto il peso della neve può suggerire il concetto di peso e di forza?
Incoraggiate da questi suggerimenti le maestre cominciano a stupirsi di ogni cosa, mostrano ad Alberto rami contorti, foglie dalle forme insolite e ciuffi di muschio aggrappati alle cortecce. Dopo la ricognizione dei materiali, si passa alle composizioni: si cerca la terra scavando il fitto tappeto del sottobosco per dipingere un quadro con stecchi e sassi; si impilano pezzi di tronchi per costruire piccole dimore, per sperimentare equilibri o per trovare nuove modalità di gioco.

funghi-2-silvia-marchesiIo sono rapita dal paesaggio, dal profumo di funghi e dell’acqua che crepita poco più sotto. Mi coglie un desiderio di solitudine quindi mi siedo sulle radici di un grande abete e cerco il più possibile di assomigliare ad una creatura silenziosa e piccola. Vorrei poter cogliere davvero “il momento naturale”, se così si può dire, la vita che respira qui, intorno a me, e che procede inesorabile. E’ come se la natura mi riassegnasse un posto, un valore, considerandomi né più né meno importante del tronco che ora la corrente trascina con sé. Il pensiero è consolante, mi sento parte di un ecosistema anche se sono ricoperta di plastica impermeabile e nel mio stomaco viene digerita una colazione da autogrill.
Questo mi fa pensare che non sopravviveremmo tre giorni in un paesaggio incontaminato, che sia la giungla rigogliosa del Sud America o la cintura verde della Tundra siberiana; a cosa ci riferiamo dunque quando, parlando di bambini, auspichiamo un ritorno alla natura? Forse il massimo a cui possiamo aspirare senza perdere un contatto vero con la natura è una qualche forma di selvatichezza, un approccio il più possibile spontaneo che possa ricondurre i bambini a scoprire di essere parte di un tutto, di un ecosistema che seppure largamente influenzato dall’uomo è in grado ancora di accoglierci e di trasmetterci un senso si autenticità.
Allora quale vantaggio possiamo trarre da un’osservazione come quella che le maestre alle mie spalle stanno sperimentando nel bosco?

corteccia-silvia-marchesiMi chiedo, osservando il torrente, se sia così necessario ricondurre ogni volta il bambino al “fare”, nell’ottica di una didattica volta alla dimostrazione che è sempre possibile costruire o inventare qualcosa, seguendo un metodo dove siano il ragionamento, la creatività e la sperimentazione il fine ultimo di ogni percorso.
Le maestre credono ancora sinceramente, ha chiesto Monica Guerra nella sua lezione di fine corso, che il bambino impari solo giocando ed esplorando?

Come maestre riusciamo ancora a camminare in un bosco e a guardare ciò che abbiamo intorno senza pensare ai nostri bambini, a quali progetti presenteremo sul tema, a cosa faremo al rientro a scuola?
Esiste una scuola senza “Fare”?
Vedendo la neve cadere sul verde intenso di pini, abeti, betulle, pioppi e felci non posso che essere pervasa da un senso di meraviglia. Penso a cosa sia la meraviglia e la prima cosa che mi balza in mente è che sia uno slancio del cuore, uno stupore pieno di mistero, spontaneo, immediato e veloce come un sorriso. La meraviglia è inspiegabile, possiamo sapere cosa la provoca, ma in ultima analisi non sappiamo dire altro o forse solo che ha bisogno di silenzio di quiete e di libertà per potersi esprimere.

pigna-silvia-marchesiOsservo ancora le maestre che passeggiano felici per il bosco e non so distinguere da cosa derivi il loro stupore: ho l’impressione che il loro entusiasmo per un ramo o per una radice sia condizionata dalla gioia di quello che potranno fare al ritorno con quel ramo e quella radice insieme ai loro bambini. Quadri di foglie; ovvero un progetto d’arte che parta dalle forme naturali? La pioggia sulle cortecce; ovvero un progetto per osservare le sfumature e le consistenze dei colori che ci circondano?  Non voglio con questo sminuire nessuna progettualità futura, magari nata qui a Sella Valsugana. Sono circondata da maestre entusiaste, piene di energia e di voglia di mettersi in gioco: si sporcano le mani, camminano sotto la neve, ammucchiano dentro a sacchetti una sorta di alfabeto boschivo. Sono maestre che torneranno dai bambini cariche di tesori e che, forse, dopo questa esperienza, usciranno più spesso nel giardino della scuola.

Tuttavia credo che un corso di formazione debba regalare alcune certezze e molte domande, per gettare le basi a favore del rinnovamento di una pedagogia naturale che sappia rispondere alle esigenze della contemporaneità, per far riflettere su ciò che è stato fatto fino ad oggi per gettare le basi di una progettualità futura.

Mi domando se è questa l’attenzione che vorrei fosse riservata alla natura nella scuola di oggi; se recuperare dal bosco o dal giardino materiali nuovi, vivi e interessanti, basti per restituire ai bambini una dimensione più ecologica della loro esistenza; se ispirarsi alla natura per costruire una didattica fondata sul pensiero divergente possa influenzare l’uomo di domani.

gocce-silvia-marchesiRimango ancora seduta sotto al grande abete e penso a cosa farebbe un bambino se fosse lasciato libero, per l’intero anno scolastico, di uscire ogni giorno nel bosco. Si sentirebbe spaesato? Traccerebbe sentieri? Avrebbe bisogno della guida di un adulto?
Forse, semplicemente, con la stessa spontaneità con cui vive l’ambiente domestico vivrebbe il giardino, si lascerebbe incantare dalle più piccole cose senza caricarle di altri significati. Annuserebbe le foglie, costruirebbe case con i sassi del ruscello, si bagnerebbe in una pozza d’acqua tra le rocce… insomma come ha detto all’inizio del percorso Alberto Rabitti, “prenderebbe casa” nella natura. E’ quando un luogo diventa famigliare che si può andare sotto la superficie delle cose e sperimentare gesti, sfidare oggetti, rischiare nuovi movimenti. Questo può avvenire solo se è la dimensione affettiva ed emozionale ad essere compresa da quell’ambiente, se l’eco che le cose rimandano è in parte consueto e rassicurante.
Quindi come possiamo chiedere ad un bosco o ad un giardino di essere sinceri se i bambini non li conoscono davvero? Prima dei quadri con le foglie, prima di qualsiasi progetto, prima del fare è la dimensione viva e vera della natura che , credo, ci debba attrarre.

lumaca-silvia-marchesiSpesso lo spontaneismo è stato visto nella scuola dell’infanzia come qualcosa di negativo, sinonimo di svogliatezza e preludio di un disastrosa relazione maestra-genitore. Ma siamo sicuri che la naturalezza, la spontaneità non siano termini da recuperare? Siamo certi che tutto il fare scolastico corrisponda realmente all’idea che vogliamo appoggiare per far si che il bambino di oggi diventi l’uomo del futuro?
Il bambino costruttore di conoscenza potrà applicare il suo senso critico alle cose se prima non lo rendiamo in grado di essere felice, libero di sperimentare la gioia dei sensi che vede nel silenzio, nella quiete e nella solitudine la sua causa primaria?
Con questo non voglio dire che nelle scuole non dobbiamo offrire percorsi strutturati e intelligenti con cui stimolare la capacità di ragionamento. Quello che intendo è che a fianco di tutto ciò non può mancare un aspetto più spirituale dell’educazione, che tenga conto della meraviglia, della solitudine, della natura vissuta con continuità, spontaneamente e senza mediazione.
Siamo capaci di non intervenire in tutti i processi? Crediamo che i bambini siano gli uni per gli altri grandi maestri e che la loro relazione vissuta in un ambiente naturale possa essere sostenuta e rafforzata?

licheni-silvia-marchesiMentre la neve continua a cadere penso di essere felice. La natura mi trasmette un senso di verità così profondo che vengo rinfrancata da tutte le avversità della settimana, mi dona forza e speranza e vorrei che mio figlio potesse essere qui per vedere lo spettacolo della neve di maggio.
Il gruppo sta rientrando, il freddo è pungente. Mi riavvicino alle altre maestre e mi interesso delle loro impressioni. Mi accorgo che c’è chi, come me, si è presa del tempo per passeggiare nel bosco e con un’espressione felice ritorna a far parte della compagnia. Alberto Rabitti continua ad osservare tutto e ad ascoltare con grande attenzione quello che le maestre hanno da raccontare o raccontano dei loro bambini.

Ci sono stati altri momenti interessanti durante il corso di formazione, ma l’esperienza nel bosco è stata per me quella più intensa e importante.

La neve a maggio è stata un dono speciale, il sentore di un cambiamento e, anche se può sembrare surreale e straniante, lascia comunque spazio alla meraviglia e questa sensazione non può essere che legata a qualcosa di positivo, a qualcosa di nuovo che già si respira nell’aria.

 

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