Mi sono sempre piaciute le mostre piccole e monografiche; gli occhi non si stancano e puoi percorrere le tavole soffermandoti su ogni dettaglio, indugiare.
La mostra è ricca di inediti: molte sono le tavole escluse dall’albo “Al parco”, uno dei miei albi prediletti.
Si riconosce subito che la materia “è cosa viva” nel percorso artistico di Beatrice Alemagna. I pennelli, la matita, i carboncini…li puoi toccare con gli occhi anche da dietro il pannello di vetro.
Molti sono i dettagli apposti alle tavole con la tecnica del collage. Il collage è ad un tempo armonico e distonico: nell’economia complessiva dell’opera crea una sorta di “dissonanza cognitiva” che ti invita ad avvicinarti e a guardare con più attenzione.
Il collage è attraente nelle opere di Beatrice Alemagna perché pare sempre sospeso tra due mondi: quello senza tempo dell’illustrazione presa nel suo complesso, e quello del dettaglio che sembra stato apposto lì giusto un attimo prima. Ecco allora che vuoi andare a vedere, vuoi capire se sia davvero disegnata quella minuzia sulla tavola o se sia un pezzo di fotografia o un ritaglio di carta da regalo. Il collage ti incuriosisce perché nelle tavole di Beatrice Alemagna non è mai davvero integrato, e non è mai davvero estraneo all’opera. Nella stampa questa dissonanza un pò si perde amalgamandosi all’insieme, ma dal vivo dona una sensazione visiva molto potente.
Di Beatrice Alemagna apprezzo lo straordinario talento, un dono a cui lei porta costante rispetto, studiando e facendo continua ricerca. Si riconosce in lei, di albo in albo, un cammino fatto di mille matite, infiniti ritagli, pervicaci esplorazioni del suo tratto inconfondibile che ha comunque saputo evolversi e maturare, accettare il cambiamento anche quando si poteva correre il rischio di non piacere più, di deludere.
Perfino nei suoi albi più lievi, il suo percorso artistico resta evidente.
Inserendosi anche nei solchi narrativi più morbidi, la sperimentazione del colore e della composizione è visibile all’occhio del suo lettore attento e affezionato, fino ad esplodere in albi di rara potenza come “Addio Biancaneve” o “Al parco”.
È una mostra che ti fa immaginare l’atelier domestico di Beatrice Alemagna: alcune teche ti fanno sentire il profumo della carta, il fruscio della matita sul foglio, i luoghi quotidiani che prendono altre forme e colori nei taccuini, quaderni preziosi che saranno custoditi come tesori. Ci sono scatoline che sono gioielli d’amore, sguardi che raccolgono pensieri che a loro volta mettono ordine alle cose. Nelle teche ci sono bambole e bamboline che stupiscono e lasciano intravedere come nell’artista il sentimento del perturbante trovi casa accanto a oggetti che trasformano ciò che è consueto in un gioco d’arte.
Nel corso del tempo Beatrice Alemagna ha avuto l’audacia di far uscire sempre di più l’ombra dalle sue opere.
“Addio Biancaneve” è un punto di svolta: non solo l’uso del colore si fa più temerario, ma anche il corpo si mostra diverso e nuovo continuando il suo percorso metamorfico e metaforico che, a ben vedere, ha sempre caratterizzato le illustrazioni di Beatrice Alemagna. I suoi corpi sono corpi che esprimono vitalità, sentimento, trasformazione, buio; e quindi luce, anima.
Sono corpi che non si nascondono, che esprimono stati d’animo; e laddove la sua ricerca si fa più alta, è un corpo che interroga il lettore chiedendo accoglienza, e di non essere respinto ma visto, che sfida ogni nostro progetto di apertura all’alterità e che spalanca silenzi e non so. È un corpo studiato e osservato per arrivare all’essenza di un corpo che pur “bianco come la neve” sa accogliere l’ombra esattamente come il dire fiabesco: nascosto eppure in luce.
Trovo sempre affascinante constatare come il talento di Beatrice Alemagna passi così tanto dalla comprensione dell’ombra quando si tratta delle sue tavole illustrate. Mentre le storie di cui è, autrice mi paiono quasi sempre deboli e della forte impronta pedagogica.
I suoi testi autografi non portano al lettore la stessa profondità delle illustrazioni, restando su una scrittura piana, certamente corretta, ma senza tridimensionalità, una dimensione che sempre appartiene agli scrittori di talento.
Non sto parlando di un prosare complesso che non si addice per antonomasia all’albo illustrato, ma a quella capacità di raccontare, come direbbe Pamela Lydon Travers “un bosco con una foglia”; quel talento che nasconde nel piccolo il molto ed è capace di dare alla letteratura una forma che amplifichi all’infinito i contenuti.
Nella letteratura infatti la forma coincide con il contenuto, ma tendiamo a dimenticarcelo dato che siamo sempre più spesso alla ricerca del messaggio non attribuendo più valore alla letterarietà di un’opera.
In questo senso è in dubbio che tutti gli albi di Beatrice Alemagna, e in qualche misura persino “Addio Biancaneve”, abbiano sempre un intento pedagogico molto forte: l’autostima, la valorizzazione del tempo nella natura, il pensare che le cose non vadano perdute, la sincerità…
Il testo quindi, scevro da un particolare valore letterario, si attesta su questo linguaggio didattico e pedagogico e lì vi rimane, attraendo il lettore verso storie che riescono a trasmettere ciò che pensiamo sia giusto e importante dire ai bambini. Ed è proprio il connubio tra illustrazioni molto potenti e un testo così lineare e preciso rispetto ai desideri del lettore adulto, che ha decretato, a mio avviso, il successo di Beatrice Alemagna; successo meritatissimo proprio per la pregnanza delle illustrazioni ma che, secondo il mio parere, è molto meno attribuibile alla qualità dei testi se guardati dal punto di vista letterario.
Azzardo quindi dire che un albo come “Al parco” dove la scrittura di Sara Stridsberg è molto più evocativa – e quindi misteriosa – rispetto al contrappunto testuale che siamo abituati ad associare alle illustrazioni di Beatrice Alemagna, stia riscontrando meno successo: il lettore adulto percependo finalmente appieno il talento e la potenza perturbante delle tavole di Beatrice Alemagna non trova più confortato nel testo e si arena su un testo certamente più complesso e ambiguo.
Apprezzo molto come Beatrice Alemagna si presti a sbaragliare lo sguardo del lettore anche rischiando il suo successo editoriale.
Osservando i suoi quaderni, gli inediti e i suoi oggetti artistici, non vi è dubbio che l’amalgama di buio e luce produca in Beatrice Alemagna vere e proprie opere d’arte.
Questa doppia anima di illustratrice talentuosissima e di scrittrice irrisolta, io l’avverto per lo più dissonante e non integrata, e mi colpisce ancora di più avendo potuto ammirare le sue tavole dal vivo.
Nel ciccia pelliccia l’amalgama è quasi riuscito abbassando da un lato i toni ombra delle illustrazioni (forse non a caso inizia la sperimentazione del colore fluorescente), e dall’altro facendo appello ad una trama concatenata di evocazione fiabesca che, nella sua bidimensionalità, evita di indulgere troppo al messaggio incoraggiante.
Riuscito, a mio avviso, in questo senso anche l’albo “Manco per sogno” che pur non avvalendosi del plot narrativo di evocazione fiabesca, riesce a tenere un buon equilibrio tra illustrazioni e testo grazie ad una vena ironica ben ancorata a situazioni reali, e che quindi riesce a sollevare la storia dall’aspetto pedagogico che rimane pur sempre il nucleo fondante del libro.
Resta invece un divario molto forte tra le illustrazioni e il testo in “Un grande giorno di niente”. Trovo infatti che le illustrazioni di questo albo siano magnifiche e mai didascaliche nonostante la storia, di contro, porti a galla tanti cliché legati al fortunato binomio natura-infanzia.
Le illustrazioni dicono e lasciano intuire molto di più di quello che la storia desidera chiaramente comunicare sia al lettore bambino, ma soprattutto al lettore adulto.
Le tavole superano la didascalia, il che è molto sorprendente a fronte di un testo tanto debole: molte delle illustrazioni di questo albo trattengono mistero, sono ricche di ordito e hanno strutture immaginative così interessanti che ti fanno venire voglia di affidarle alla penna di Maria Gripe e vedere che storia magnifica potrebbe venirne fuori.
Posso dire che laddove il testo di Beatrice Alemagna perde vitalità, le tavole riescono sempre a trasmettere una potenzialità pressoché infinita, una miriade di stratificazioni di ordito e di trame possibili. Il quotidiano con le sue infanzie e i suoi chiari scuri avanza e trascende quasi sempre le parole di questa illustratrice straordinaria.
Ma di certo preferisco trovare il talento di Beatrice Alemagna nelle nozze felici con i testi di altri autori, come in “Al parco”.
In questi libri la visione dell’illustratrice si fa ancora più chiara, si svincola da parole troppo vincolate ad una visione pedagogica, per esplorare l’universo bambino attraverso uno sguardo in perpetua ricerca della luce e dell’ombra, in grado di rimandare al lettore storie di immagini, vibranti e mai perfettamente chiuse.
Ma noto con piacere che quando la scrittura di Beatrice Alemagna abbandona del tutto l’universo bambino, si fa più intensa e bella, più pregna. La fiaba di Biancaneve, seppur catturata nei suoi risvolti psicanalitici, l’ha sostenuta. E forse le tavole di “Addio Biancaneve”, nate prima del testo, hanno evocato parole più dense, finalmente ricche di quei volumi e di quegli spessori che sono invece così evidenti nelle sue illustrazioni.