Pesce guizzante #2
La lettura ad alta voce dell’albo illustrato
Nell’ultima “nota a margine” ci eravamo lasciati chiedendoci come leggere un albo illustrato ad una platea numerosa senza strafare, alzare la voce, aggiungere parole che non ci sono.
La mia risposta potrà sembrarvi scortese o poco risolutiva, ma io sono sempre più convinta che un albo illustrato richieda una lettura il più possibile intima e privata. Per essere ancora più esplicita: io penso che l’albo illustrato non sia adatto ad una platea composta da più di quattro bambini.
Vi invito a riflettere sul fatto che più volte è stato detto (e non solo dalla sottoscritta) che un albo illustrato è quel prodotto editoriale che abbina in modo significativo (e mai banale) immagini, parole e segno grafico. Ciò significa che questi tre elementi devono poter essere esperiti contemporaneamente dal lettore affinchè egli possa notare come le illustrazioni arricchiscano le parole, le parole trovino un’eco nelle illustrazioni, il segno grafico comunichi il carattere del testo, e le immagini si uniscano come in una melodia al font prescelto.
Come poter dare tutto questo ad un pubblico numeroso? L’ultimo bambino in fondo alla platea continuerà ad interrompervi dicendo che non vede, e se l’albo è più potente nelle illustrazioni che nel testo, vi costringerà ad aggiungere parole laddove l’autore non le aveva previste, e tutto questo al solo scopo di poter descrivere al pubblico il contenuto e il senso delle immagini.
Osservate questa fotografia:
E’ stata scattata venerdì 15 maggio quando una sezione di 5 anni è venuta in visita in libreria. Nel momento dello scatto stavo narrando la fiaba di Vassilissa.
Notiamo che:
- i bambini sono seduti comodamente
- lo sguardo è attento, ma allo stesso tempo leggero e sognante
- il narratore è rilassato
Osserviamo adesso quest’altra fotografia:
I bambini sono sempre gli stessi, ma io non sto più narrando, ma leggendo ad alta voce l’albo illustrato “Denti di Ferro” di Tina Meroto.
Notiamo che:
- i bambini si sono ammucchiati vicino al narratore
- alcuni si sono seduti sulle ginocchia nel tentativo di vedere meglio
- il narratore è più teso
Possono sembrare piccole inezie, ma io sono convinta che il corpo ci racconti sempre cose molto interessanti.
Nella seconda fotografia l’atteggiamento dei bambini è molto simile a quello che possiamo notare quando sono davanti allo schermo televisivo. Gli adulti si abbandonano sul divano quando guardano un film, ma i bambini, specie sotto i sei anni, davanti alla televisione si protendono continuamente in avanti e non sono quasi mai rilassati; ipnotizzati forse, ma non rilassati. Questo è dovuto alla tensione narrativa provocata dalle immagini in movimento. Le immagini infatti eccitano, stimolano e a volte stordiscono, a maggior ragione se sono poste le une accanto alle altre in sequenze così veloci da risultare dinamiche.
Quando è posto davanti all’albo illustrato, per quanto le immagini in esso contenute siano statiche e meravigliose, il bambino è soggetto ad una forma di eccitazione. Vuoi perché la vista sia in lui il senso più sollecitato, vuoi per un’eccessiva esposizione a schermi con immagini in movimento, quel che è certo è che il bambino riconosce all’occhio una funzione primaria non solo nel decodificare la realtà, ma nel procurargli piacere.
Rispetto alla prima fotografia, possiamo dunque osservare una prevaricazione dell’occhio sull’orecchio.
Quando si immerge nel racconto orale il bambino si pone in ascolto e vede grazie all’uso dell’immaginazione; il corpo è rilassato perché l’occhio è volto altrove ed è sollecitato in modo differente. L’occhio è un muscolo molto potente ed è capace di orientare tutto il nostro corpo. Lo sa bene chi pratica equitazione: se si vuole che il cavallo giri a destra, per prima cosa il cavaliere dovrà guardare in quella direzione. Il semplice movimento oculare è in grado di allineare i muscoli del fantino e tenderli in potenza verso un’azione piuttosto che un’altra; il cavallo percependo questa tensione anticiperà i comandi delle redini agevolando il lavoro del cavaliere.
Notiamo poi che lo sguardo di alcuni bambini nella prima fotografia pare andare molto lontano, e ci verrebbe da dire che sia quasi assente. Sono forse distratti? Tutt’altro. Spesso i bambini che ascoltano una fiaba sognano ad occhi aperti. Il racconto orale incoraggia nel bambino la rêverie, ovvero
“..la capacità di stimolare e accogliere come attendibili e autentici i contenuti della fantasticheria e del sogno a occhi aperti, soprattutto quando questi sono generati dall’incontro con suggestioni estetiche, con l’arte, la poesia ma anche con fenomeni naturali e con suggestioni desunte dall’esperienza quotidiana.” (Gastone Bachelard, La poetica della rêverie)
Vorrei specificare che con questo articolo non voglio dimostrare che l’albo illustrato non sia adatto ad una lettura ad alta voce, vorrei solo far germogliare in voi la voglia di tornare a narrare ai bambini “occhi negli occhi” e lasciare che le illustrazioni e il segno grafico siano accessibili in modo corretto durante una lettura a piccolo gruppo.
Con pochi bambini intorno a voi non sarete costretti a forzare il testo, ad alzare eccessivamente la voce, a gesticolare o a mimare con il corpo parti della storia. Anche mentre narrate senza il supporto del libro il vostro corpo parteciperà alla storia, ma il corpo di una cantadora appare sempre naturale e autentico. Niente cappelli da strega, niente voci eccessivamente calcate, niente teatro quando narrate. Il narratore non è un attore. L’attore non lo vuole vedere il suo pubblico: che tossisca, si annoi, si addormenti egli continuerà per la sua strada fino alla fine del copione. Il narratore invece vive nello sguardo di chi ascolta, cambia ritmo e voce a seconda della tensione del suo pubblico.
E’ stato sorprendente vedere Chiara Taraboni narrare Vassilissa in libreria. Nello spettacolo del mattino il pubblico rideva e si spaventava restituendo a Chiara esclamazioni e squitti; la fiaba è durata 54 minuti.
Nella replica del pomeriggio il pubblico era più freddo e distaccato, non che fosse meno attento, ma partecipava alla fiaba con una reverenza formale; la narrazione è durata 43 minuti.
Una differenza di dieci minuti, considerando che le parole sono sempre le stesse, è una differenza significativa. Cos’è cambiato nel modo di narrare di Chiara? Con il pubblico partecipe Chiara ha allungato i silenzi tra i dialoghi, ha indugiato in alcuni gesti, ha soppesato con gusto le parole. Con il pubblico più trattenuto, alcune pause sono sparite, la tensione narrativa si è alzata velocizzando alcune parti della storia, e le risate mancate hanno ristretto il tempo della fiaba.
Ricordo che da molto giovane andai a teatro con la mia classe del liceo a vedere “L’Ecuba” di Euripide, sul palco c’era Anna Proclemer. Lo spettacolo del pomeriggio era riservato alle scuole, e palchi e platea erano letteralmente invasi da orde di studenti svogliati, costretti ad andare a teatro per ottenere crediti formativi. Quel pomeriggio il pubblico era più rumoroso e maleducato del solito. Anna Proclemer era inginocchiata in proscenio impegnata in una scena particolarmente drammatica quando d’improvviso si alzò, abbandonando il suo personaggio, rivolgendosi al pubblico affinchè rispettasse con il silenzio il lavoro degli attori. Poi si inginocchiò nuovamente e tornò ad essere Ecuba. Fu come una folgorazione per me: da Ecuba era sgusciata fuori come da una crisalide Anna Proclemer, e poi di nuovo il bozzolo si era richiuso ed Ecuba stava davanti a noi con la sua autenticità paradossale. Sarò sempre grata a quegli studenti maleducati per avermi dato l’opportunità di assistere ad un tale prodigio.
Perché vi racconto questo? Perché spesso mi sento dire che per narrare bisogna essere bravi attori e che raccontare senza libro è difficile; ma non è così. Quando racconto la Vassilissa io non divento quel personaggio, non mi servono le doti di Anna Proclemer, non sono un’attrice. Quando narrate vi si chiede di restare voi stessi, di intrecciare la vostra vita con quella della fiaba, di far vibrare le parole attraverso il suono della vostra voce e di abitare la storia con i ricordi autentici della vostra esistenza. Ogni narratore è diverso e tra le sue mani ogni racconto diventa qualcosa di unico. Certo la storia la dovete sapere, meglio ancora se l’avete studiata nei suoi colori e nelle sue incandescenze, come dice Monica Morini; ma questo è un allenamento iniziale perchè poi, a forza di narrare, le parole vi si scioglieranno sotto la lingua e diventerete abili ad improvvisare e a giocare con le trame.
Anche la lettura dall’albo illustrato richiede preparazione, ma in quel caso vi sentite più protetti dalle parole, rassicurati dalle illustrazioni sebbene esse vi mettano più in difficoltà di quanto non ammettiate. Quante volte vi ho visto costruire storie dal nulla basandovi unicamente su un’immagine che volevate decodificare e restituire alla vostra platea? Quante volte le parole del libro non erano sufficienti e voi avete trovato le vostre andando ben oltre il senso della storia?
La lettura ad alta voce dell’albo illustrato nasconde molte insidie, ma una delle più pericolose in cui vi vedo cadere spesso è quella legata alla tentazione di fare domande.
Cosa succede adesso, bambini?
Che cosa sta facendo il Signor Coniglio?
Quanti orsi vedete?
Chi mi dice cosa sta facendo il protagonista? Lo fate anche voi?
Le domande sono nemiche giurate del piacere alla lettura.
Ma cosa mi direste voi se mettessi in pausa il film che state guardando per chiedervi secondo voi cosa sta per succedere? O se tornassi indietro di qualche scena per capire se avete notato bene questo o quel particolare dell’inquadratura? Se lo fate con me, vi assicuro che mi potreste vedere molto irritata.
Gli albi illustrati proprio in virtù di uno squilibrio spesso voluto tra immagini e parole (sono pochissimi gli albi perfettamente equilibrati) vi costringono a soffermarvi sulle illustrazioni poiché esse contengono parte della storia. Quel soffermarsi richiede silenzio e attenzione; ma quando avete davanti una platea numerosa quel silenzio diventa pesante e quell’attenzione si trasforma in mille domande. Con le domande pensate di dare più tempo ai bambini e di coltivare in loro uno sguardo prezioso, ma in realtà state comunicando, più o meno consapevolmente, la sensazione che il testo sia troppo scarno per rendere vera giustizia alle immagini.
Le domande diventano poi delle armi a doppio taglio perché i bambini così incitati parlano tutti contemporaneamente e se liberi di rispondere vi potrebbero raccontare tutta la loro vita… ma voi avete una storia da leggere e non avete tempo per ascoltarli davvero, giusto?
Quindi le vostre sono domande retoriche? Piccoli espedienti per indugiare su un’immagine? Modi per ingannare la paura di un horror vacui o per tenere desta l’attenzione sfuggente e precaria di una platea in subbuglio perchè non riesce a vedere bene le figure? Forse dovremmo ammettere che un albo illustrato è molto faticoso da leggere ad alta voce.
Diciamo anche che leggere un albo illustrato davanti a molti bambini non è affatto comodo: dovete torcere il collo all’inverosimile per far vedere le figure mentre voi diventate strabici per decifrare il testo.
Tutto questo non fa che avvalorare la mia teoria: l’albo illustrato necessità di uno sguardo intimo, vicino e raccolto.
Una maestra, dopo aver assistito ad una mia serata di formazione in una scuola, è venuta in libreria chiedendomi aiuto perché i suoi bambini di 2/3 anni non stanno mai attenti quando lei legge. Mi ha detto di avere una classe di bambini iperattivi, disattenti, ribelli… insomma al solito (i miei cari “bambini furiosi”). Mi chiedeva un libro per catturare la loro attenzione. Avendo visitato la sua scuola, sapevo che genere di albi erano presenti in sezione: albi bellissimi, non scontati, ricercati e ben fatti. Che cosa dunque le potevo offrire? Solo la mia esperienza e le mie idee. Ho parlato con lei per mezz’oretta e le ho presentato e supportato il mio pensiero riguardo all’importanza di narrare ad alta voce senza libro, un po’ come sto facendo adesso con voi scrivendo questo articolo.
Lei ha ascoltato attenta e partecipe ed è uscita dalla libreria senza un libro (ormai la mia vena commerciale è leggendaria!).
Due giorni dopo mi scrive questo messaggio:
Carissima Alessia ho messo in atto i tuoi consigli, ho letto ai bambini solo narrando e non mostrando immagini, solo voce e sguardo, un successo strepitoso! Grazie.
Dunque, miei cari lettori, prendete esempio dai vostri nonni e bisnonni (alcuni dei quali non sanno né leggere né scrivere, ma sono abilissimi raccontastorie), armatevi di coraggio e tornate a narrare. Farete un regalo meraviglioso ai vostri bambini che hanno bisogno, oggi più che mai, di voci autentiche, di allenare l’orecchio alla bellezza delle parole e gli occhi ad uno sguardo interno lento e sognante. Più narrerete più vi sentirete sicuri; col tempo vi accorgerete quanto una narrazione riesca ad incantare anche platee numerose e di come non avrete bisogno di fare domande per catturare l’attenzione dei bambini perché una bella storia vi sostiene in ogni istante. L’albo illustrato lasciatelo per i momenti intimi, per le ore dolci della sera, per lo spazio di luce vicino ad una finestra; lasciate intatta la magia delle figure e lasciate che gli occhi si stupiscano per il silenzio denso di ogni illustrazione, lasciate immobile la superficie del lago affinchè ogni bambino possa gettarvi il proprio sasso e vedere i cerchi allargarsi a poco a poco.
4 pensieri su “Note a margine: Pesce guizzante #2”
Penseró parecchio a quello che hai scritto. Grazie x queste “note a margine”!
Quando leggo i tuoi articoli mi viene spontaneo interrogarmi.
Perché ho letto ai bambini “Che cos’è un bambino?”
Perché ho letto “La gigantesca piccola cosa?”
Perché ho letto “Il nemico?”
Perché ho letto “Pezzettino”…e altri?
Perché mi piacciono così tanto i loro commenti? A volte li annoto.
A volte sento la fatica di chi si accorge, di chi sa, che ognuno di loro chiede attenzione, desidera essere ascoltato. A volte quando la conversazione pare che non abbia mai fine, interrompo gli interventi, a volte faccio una fatica matta a convincerli che possono abbassare il braccio, perché sicuramente prima o poi comincerà a fargli male, visto che non darò loro la parola. A volte mi sento stanca perché l’attenzione e la relazione che chiedono è diversa per ognuno di loro.
Ma in questo mondo dell’albo ho voluto che entrassero, qualcuno lo ha fatto in punta di piedi qualcuno rumorosamente, chi distrattamente, chi assolutamente incantato. Sono venti bambini, a volte meno, a volte di più. Momenti magici ci sono stati? Certo. Momenti meno incoraggianti? Pure
Quando leggo…
A volte penso di non farlo bene, spesso ne sono assolutamente sicura.
E’ vero:quando io leggo guardo i bambini, guardo l’effetto che fa. Sono sicura di narrare e non di leggere? Non sempre sono sicura di narrare. A volte leggo. A volte penso che non esista un momento magico che si crei nello stesso istante per tutti…quel momento devo sceglierlo in un arco di tempo preciso: le mie ore a scuola. A volte mi scoraggio, ma faccio in modo che loro non sappiano: brusii, sedie che strisciano sul pavimento, rumori di pennarelli sui banchi… poi un bambino fa un’osservazione che mi fa capire che lui è dentro la storia. Col pensiero benedico l’autore della storia. Merito suo! A volte IO mi sento dentro dentro la storia. A volte non mi sento dentro dentro. A volte sento altri dentro, mentre io mi sto affacciando all’uscita. A volte sento loro fuori.
Allora penso che la scuola è fatta di bambini, ragazzini, insegnanti, tutti dentro a questo frastuono quotidiano che ci accompagna. Poi penso spesso, parlando a tu per tu con loro che loro sanno che nella mia testa c’è una stanza per ognuno di loro, sanno che non sono un super eroe, ma che per ognuno di loro arriva il momento dell’ ascolto; infine sanno che il lavoro e la serietà, ormai, in classe, son di casa. E allora vado avanti, osservo, cerco di capire, approfondire, so che sbaglierò, ma nessuno mai potrà sostituirmi nella mia ricerca di senso con loro. Penso, cara Alessia, che tu dia ottimi spunti di riflessione che rimandano le insegnanti al quotidiano, creano consapevolezza dell’esperienza che conducono giorno dopo giorno, indispensabile per andare oltre. Mi piace conoscere, cercare, scoprire, penso però che non entrerò mai in libreria a chiedere un libro da leggere ai miei alunni. Forse non sono io la prima che deve sapere cosa li catturerà? Non amo dire a me stessa che so fare, non ho ricette per nessuno, detesto le frasi fatte e sdolcinate sul rapporto insegnanti bambini, come non sopporto le frasi fatte sugli iperattivi e simili. Spero semplicemente che ogni insegnante faccia del proprio lavoro una costante, appassionante ricerca.