Il formatore

Desidero condividere con i miei lettori la prima parte di una lunga lettera scritta per cinquanta insegnanti (divise tra scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola media) che stanno seguendo con me un cammino di formazione sulla buona letteratura per bambini e ragazzi lungo quindici incontri.
Questa lettera è stata scritta dopo aver svolto con le insegnanti sei incontri ed è stata consegnata insieme ad un questionario di metà corso. Le riflessioni contenute in questo articolo, sebbene scritte già nella newsletter di dicembre 2018, sono il naturale proseguo  del discorso sul vuoto e le storie intrapreso negli ultimi articoli di questo blog.

Il mio ruolo di libraia non può ormai essere scisso da quello di formatrice.

Ma cosa significa fare formazione?

Personalmente mi sento più vicina al verbo educare che non al verbo formare perché educare tiene dentro un “movimento verso” ( e-ducere), un andare consapevole, e si spera affascinato, verso qualcuno che parla. Formare significa letteralmente “dare forma” (spesso con le mani) e, sebbene si supponga che il gesto sia amorevole, abbiamo certamente a che fare con un verbo più pervasivo del verbo educare. Formare è plasmare, lavorare e modellare la materia per portarla alla forma voluta.

Appurato quindi che educare è più confacente al mio modo di condurre percorsi sulla letteratura per bambini e ragazzi, non mi riconosco ancora nella definizione di educatrice alla lettura perché di fatto nelle conferenze, nei corsi e nei seminari da me tenuti, non è la lettura il focus del mio discorrere: il nucleo di ogni mia formazione sono le storie. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, eppure più ci penso più sento importante distinguere la parola lettura dalla parola storie.

La lettura ( spesso legata al verbo promuovere) implica che lo sguardo delle maestre o dei genitori si concentri sull’oggetto libro e quindi sull’attività di leggere, intesa in senso stretto come il gesto che il bambino compie avendo un libro tra le mani, un gesto che racconta di un bambino attento, sensibile e intelligente. Di conseguenza educare alla lettura o come si dice più spesso (con una differenza di senso a mio avviso non irrilevante) promuovere la lettura implica che il formatore debba avvicinare il bambino o l’adulto all’oggetto libro.

William Adolphe Bouguereau

Poiché oggi si legge sempre meno, dal formatore/promotore, specie se si parla ad un pubblico adulto, ci si aspetta delle ricette vincenti – ovvero delle bibliografie – il che tradotto significa presentarsi con una  selezione di libri che “funzionano”, “giusti”, “divertenti” e “belli”; oppure ci si aspetta un corso su come leggere, ovvero su come usare la voce e il corpo. E tutto questo per far sì che i ragazzi e i bambini si appassionino ai libri.

Appassionare ai libri.

Partiamo da qui.
Capita sempre più spesso, ahinoi, che chi si attende o desidera un tale risultato non sia a sua volta un lettore (e non parlo solo di letteratura per bambini e ragazzi). Non è un dato irrilevante questo, anzi direi che sia uno dei nodi centrali per chi desidera intraprendere il mestiere del formatore.

Perchè?

Perché un pubblico di non lettori porta ad un fraintendimento di fondo piuttosto scomodo, e cioè quello di credere che la lettura sia importante perché utile.

Cosa c’è dunque dietro al verbo appassionarsi?

Se riflettiamo sulla parola passione forse l’ultima cosa a cui verrebbe da pensare è l’utilità.

Il lettore forte sa che leggere è puro piacere (perfino quando si legge un saggio o un’enciclopedia) e sa che, aldilà di ogni arricchimento personale, nessuno potrà invogliarci a leggere un libro dicendoci che “così capiremo moltissime cose”.

Purtroppo è davvero difficile e complesso far passare ad un pubblico di non lettori questo concetto di inutilità perché chi non legge (o chi legge solo un po’) spesso acquista libri proprio perché “utili” ad un percorso, ad una fase della vita, a comprendere un determinato argomento…insomma il lettore debole legge per lo più per imparare. E se è indubbiamente vero che il buon lettore acquisisce competenze e conoscenze, è altrettanto evidente che per il lettore forte “imparare” è solo la conseguenza di un’amore più grande: quello per le storie.

Andrew Wyeth Helga Braids (details)

Perdendo il fondamentale legame con le storie (che nessun formatore potrà ristabilire se l’insegnante o il genitore non decideranno di fare un grande sforzo di volontà iniziando a leggere almeno due libri al mese), succede che le formazioni più apprezzate siano quelle in cui il formatore si impegna a fornire ampie bibliografie, presentate con dovizia di particolari per far emergere dalla trame le tematiche e i messaggi più “utili per appassionare i ragazzi alla lettura”.

Ecco questa frase ben rappresenta il paradosso di cui stiamo parlando, poiché mette vicini in modo distonico (ma solo per chi riesce a vederlo) l’utile (libri che “funzionano” e quindi sbloccano situazioni difficili, ma che allo stesso tempo siano accattivanti ed edificanti), la passione (che invece dovrebbe essere legata al piacere delle storie) e la lettura in quanto processo intellettivo e cognitivo.

Dal mio punto di vista il presentare bibliografie per facilitare il lavoro delle insegnanti o per invogliare i ragazzi presentando i titoli “giusti”, non dovrebbe essere il compito di un formatore.

Il formatore non è un informatore e nemmeno un divulgatore

ma un professionista che si pone in modo problematico sia rispetto all’argomento della sua ricerca sia nei confronti del suo pubblico cercando, attraverso la rielaborazione di un pensiero coerente, di mettere a disposizione strumenti critici.

Domenico Ghirlandaio – dettaglio di Giovanna Tornabuoni

La ricerca e il pensiero sono alla base del mestiere del formatore, il quale si adopererà per sciogliere alcuni nodi che stanno alla base, in questo caso, del processo che conduce l’essere umano a vedersi (o meno) come essere narrante. Attraverso una rielaborazione costante dei contenuti e del presente sociale, il formatore può presentarsi al suo pubblico anche sprovvisto di bibliografie. Lui non deve dare forma, ma deve condurre, educere appunto, il suo pubblico verso una consapevolezza profonda dei propri mezzi, delle proprie possibilità e delle proprie mancanze per attivare, laddove le persone siano disposte al cambiamento, nuove opportunità, nuovi pensieri e un rinnovato senso critico. Un lavoro, anzi un processo, faticoso che non può prescindere dal contemplare come risultato anche il fallimento (risultato invece impensabile nell’ottica di una promozione alla lettura) perché di fatto educare alle storie è condurre il bambino (e quindi l’uomo) verso gli altri e verso se stesso.

Occorre ora fare una specifica doverosa: il ruolo dell’informatore, del divulgatore o del promotore alla lettura non sono ruoli meno validi, ma sono ruoli differenti ed è importante che un committente (sia esso una scuola, una biblioteca, un gruppo di genitori) sappia distinguere un formatore da un promotore.

Questa riflessione continuerà nel prossimo articolo dal titolo “Educare alle storie”.

 

 

4 pensieri su “Il formatore

  1. Tutto pienamente condivisibile. Molte biblioteche continuano a mantenere la dizione “promozione alla lettura”, perpetrando quell’equivoco di fondo ben spiegato dall’articolo. Un unico appunto: non scriverei “un amore” con l’apostrofo.
    Cordialmente, Daniela Panchieri

  2. Apprezzo il suo richiamo alla sottile differenza tra educare e formare.Educare è un movimento simile al processo socratico dove l’individuo estrae da se stesso la conoscenza.Ottimo intervento è stato un piacere scoprire il suo sito.

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