Leggere o usare a scuola

Dedico molta attenzione al linguaggio che i lettori impiegano rispetto al libro per bambini. In particolare negli ultimi anni mi sto occupando della differenza che esiste tra il verbo leggere e il verso usare quando ci si riferisce all’albo illustrato (“leggere o usare” era il titolo di un articolo uscito su questo blog a marzo del 2018), una differenza che potrebbe sembrare irrilevante, ma che, a mio avviso, merita più di un approfondimento.

Inizio col dire che si parla di utilizzo dell’albo illustrato soprattutto in ambito scolastico, mentre per le esperienze di lettura domestiche il verbo leggere resta ancora predominante, sebbene in molti casi l’adulto richieda un libro a tema che possa servire ad affrontare determinati argomenti .

Blanche Fischer Wright
Perché a scuola prevale il verbo usare?

Fin dagli anni settanta l’albo ha trovato nella scuola dell’infanzia diverse destinazioni d’uso*: come fonte d’ispirazione per laboratori creativi, come compendio o promotore di percorsi tematici, come elemento fondativo di progetti-ponte, o come lettura terapeutica per incoraggiare i bambini a superare paure e momenti difficili. Nella scuola dell’infanzia è praticata anche la semplice lettura* dell’albo (più raramente del libro senza figure), che però è spesso connessa a momenti di rilassamento (prima del pranzo, dopo l’uscita in giardino, prima di dormire) acquisendo così, forse a livello non del tutto consapevole, una funzione distensiva.

L’uso dell’albo nella scuola dell’infanzia è ormai largamente consolidato e questo, negli anni, ha portato genitori ed insegnanti ad attribuire al libro per bambini una valenza soprattutto educativa e pedagogica; inoltre a partire dalla fine degli anni novanta, l’albo illustrato è diventato sempre più uno strumento per stimolare i processi intellettivi ed empatici del bambino.
Frasi come “mi serve un libro per…”, “scelgo un libro perché sto lavorando su…”, “mi piacciono gli albi perché li uso moltissimo…” sono pronunciate con frequenza dagli insegnanti in libreria, e la sostituzione del verbo usare al verbo leggere non solo è apparsa molto naturale, ma così spontanea da non prestarci nemmeno attenzione.

Si potrà notare, passando qualche settimana in libreria, come la sostituzione del verbo usare al verbo leggere abbia spostato l’attenzione dalla forma al contenuto quando si tratta di scegliere un libro (e questo vale sia per l’albo che per la narrativa) e che ciò, unito ad un disamore per la lettura (la maggior parte delle insegnanti che incontro nelle mie formazioni legge in media due libri l’anno*) abbia via via decretato un abbassamento del senso critico e letterario con cui l’insegnante si approccia alla produzione editoriale odierna.

Elizabeth Orton Jones
Il libro raramente viene scelto per il suo valore letterario intrinseco, ma in base a quanto potrà essere utile in un determinato percorso.

In quest’ottica il libro a tema la fa da padrone. D’altra parte l’editoria, cavalcando l’onda lunga dell’incredibile successo che l’albo illustrato ha riscosso negli ultimi dieci anni, ha aumentato esponenzialmente la pubblicazione di albi illustrati con un impoverimento, purtroppo ancora troppo poco percepito, della qualità degli stessi (qui un interessante articolo sull’argomento).
L’uso dell’albo a scuola e l’aumento della produzione editoriale, ci permette di assistere ad un altro fenomeno interessante, ovvero l’abbassamento della soglia d’età nella percezione di contenuti e illustrazioni, come se essersi allontanati dal gesto di leggere fine a se stesso, abbia reso gli insegnanti estremamente fragili quando si tratta di riconoscere la fascinazione del bambino a cospetto di storie e parole nuove, inusuali, perturbanti e complesse. Molti albi illustrati destinati con evidenza ad un pubblico di bambini in età prescolare approdano alla scuola primaria senza nessuna riflessione critica, e d’altra parte i libri senza figure intimoriscono moltissimo e vengono valutati principalmente per il numero delle pagine o per la presenza o meno delle illustrazioni.

Usare al posto di leggere sta ingabbiando sempre più il libro per bambini e ragazzi dentro a categorie molto strette e sta allontanando i bambini dal piacere della lettura gratuita. Con frequenza sentiamo i bambini dire ai genitori che non desiderano albi e libri perché li usano già a scuola.

Occorre poi sottolineare che nella buona letteratura forma e contenuto non possono essere scissi né essere considerati codici a sé stanti (sia che si tratti di un albo che di un romanzo) perché è la somma dei due codici a rendere un libro un buon libro. Invece da quando il libro, e in special modo l’albo, è divenuto strumento didattico i due codici vengono per lo più considerati separati: il contenuto, ovvero il messaggio, tende a prevalere sulla forma, mentre la forma può diventare discriminante in base a quanto aderisce o meno ad una certa idea d’infanzia.
Nell’usare l’albo il messaggio deve essere il più possibile chiaro ed esplicito (se attraverso una buona scrittura o meno è spesso del tutto irrilevante) , mentre l’illustrazione – quasi sempre la prima forma di attrazione per un’insegnante – deve corrispondere ad un immaginario che fa del colore pastello, della forma rotondeggiante e della presenza di alcuni animali, canoni di “bellezza” e di “giustezza” sulla base dei quali decidere se un libro è comprensibile o no dal bambino .

William Hearth Robinson

Con l’aumentare della produzione editoriale rivolta ai bambini si è assistito ad un incremento di progetti che si prefiggono di portare l’attenzione sull’albo illustrato anche nella scuola primaria ( in generale, possiamo dire che negli ultimi anni, si è cercato di scardinare, giustamente, l’idea che il libro illustrato sia un prodotto rivolto solo ad un pubblico di bambini in età prescolare).
Il processo sta dando i suoi frutti, ed è interessante osservare cosa succede non solo tra le mura di una libreria, ma anche a scuola. In primo luogo l’albo inteso come prodotto trasversale è stato riconosciuto da un pubblico prevalentemente femminile e in particolare da madri e da insegnanti; in secondo luogo, proprio in virtù di questo pubblico, l’albo è stato accolto con entusiasmo perché molte delle scelte bibliografiche fatte dalla scuola primaria si sono perfettamente inserite nel filone didattico/educativo che già erano state apprezzate alla scuola dell’infanzia.

L’utilizzo dell’albo illustrato alla scuola primaria sta avendo dunque un buon riscontro e sempre più maestre entrano in libreria a richiedere albi da proporre ai loro bambini; tuttavia quando le maestre si rivolgono a noi per chiederci un consiglio non dicono quasi mai “vorrei leggere un libro ai miei bambini”, ma “vorrei usare un libro per questo percorso didattico”e vanno per lo più alla ricerca di libri a tema con messaggi chiari ed espliciti.

Gli albi sono intesi come strumenti didattici e servono alle insegnanti non solo per sostenere l’amore che il bambino nutre per le storie (anche se questo punto non è quasi mai esplicitato), ma soprattutto per incoraggiare in lui processi creativi o cognitivi.

E’ chiaro che l’introduzione degli albi illustrati a scuola sia quanto meno auspicabile.

…ci sono già così tanti compendi didattici, come sussidiari e antologie, di bassa o bassissima qualità che l’arrivo di un buon libro (quando lo è) non può che fare bene. D’altra parte le stesse Indicazioni Nazionali per il Curriculo incoraggiano l’adozione alternativa, anche se poi nella pratica la maggior parte delle insegnanti non rinuncia al sussidiario pur aumentando l’uso dell’albo illustrato.

Con il mio mestiere di educatrice alle storie da anni mi occupo di riportare, nella scuola dell’infanzia, la lettura dell’albo e del romanzo di narrativa ad una dimensione più disinvolta ed estemporanea cercando di offrire alle maestre riflessioni che possano portare ad uno sguardo meno utilitaristico del libro.

Portare avanti questa riflessione oggi non è semplice perché le maestre che hanno scoperto la bellezza e le potenzialità dell’albo illustrato vivono un momento di grande entusiasmo (come è giusto che sia per ogni partenza e innovazione) e in secondo luogo perché una simile indagine porta alla luce risvolti molto complessi che riguardano non solo l’uso del linguaggio o dell’albo illustrato, ma anche una visione di scuola e d’infanzia.

Blanche Fischer Wright

A novembre, proprio per continuare a riflettere in modo problematico su questo argomento, ho invitato in libreria Antonella Capetti, maestra e scrittrice, che oggi in Italia rappresenta con il suo blog Apedario e con il suo saggio “A scuola con gli albi”, (edito da Topipittori 2018 e già alla seconda ristampa) la voce più autorevole e seguita rispetto all’utilizzo degli albi illustrati in ambito scolastico.

Durante l’incontro Antonella Capetti ha detto che le sembrava sbagliato ragionare per dicotomie – leggere o usare – e che lei trovava molto adeguato il verbo usare legato all’albo illustrato. Purtroppo l’incontro non è stato registrato, ma ho ritrovato nell’intervista rilasciata per Maria Polita del blog “Scaffale basso”, molte delle riflessioni che Antonella Capetti ha portato a Radice-Labirinto.

Scrive Antonella Capetti:

Il dubbio che il piacere della lettura, o nello specifico della poesia, possa essere in qualche modo sminuito o contaminato dalla pratica quotidiana dell’utilizzo degli albi in classe, mi sembra sempre una questione strumentale, non a caso posta principalmente da chi non lavora quotidianamente con i bambini e le bambine in classe (generalmente da librai o esperti di settore, in ogni caso mai dagli insegnanti stessi).

Usare – che mi pare un verbo bellissimo ed efficace, ben lungi dalla lettura riduttiva che a volte ne viene fatta – gli albi in classe mi pare sia un diritto di ogni insegnante, che utilizza, per mestiere, tutti gli strumenti a sua disposizione. Per me, insegnante, il libro è anche questo: uno strumento, e come strumento spesso utilizzato. Perché, penso, non utilizzare gli albi, e in generale i libri, se essi mi permettono di svolgere meglio il mio lavoro?

Queste parole sono significative per molti motivi differenti. Il primo è la distinzione che viene fatta tra chi insegna e quindi si trova a guidare una classe verso obbiettivi di apprendimento specifici, e chi si occupa di libri fuori dall’ambito scolastico.
Antonella Capetti sembra chiedere: può un libraio o un promotore alla lettura occuparsi di temi che riguardano la scuola? O meglio: è giusto che figure esterne all’ambito scolastico riflettano nel dettaglio sulle pratiche che riguardano i libri a scuola?

Muriel Dawson

Per rispondere a queste domande per nulla scontate, possiamo dire che gli albi illustrati e perfino il saggio “A scuola con gli albi” edito da Topipittori vengono venduti nelle librerie e non attraverso canali di scolastica; inoltre, posso affermare con discreta sicurezza confrontandomi con colleghi librai, che molti dei libri citati da Antonella Capetti nel suo saggio trovano nei librai di librerie indipendenti e specializzate i loro migliori interlocutori. Questo significa che spesso e volentieri sono i clienti stessi che consultano i librai per un consiglio rispetto ad un libro di cui hanno sentito parlare. E’ quindi auspicabile, a mio avviso, che un libraio o un “esperto” in letteratura per l’infanzia abbia sviluppato un pensiero riguardo le finalità di un libro, tanto più se un libraio ha aperto la sua attività per offrire un servizio al cliente. Mi sento quindi di dire che sì, è giusto che chi si occupa di libri e di letteratura rifletta sulle pratiche che coinvolgono i libri, poi ovviamente starà a ciascuno decidere come occuparsene e in che misura. Ritengo inoltre che ragionare per compartimenti stagni sia impoverente per tutti, specie per la scuola che oggi raccoglierebbe molti vantaggi da un dialogo aperto, pulito e problematico con professionalità esterne e preparate. Contaminarsi, scambiare sguardi e pareri e perché no, confrontarsi a fondo anche sulle partiche del quotidiano (sia su quelle che avvenogono in classe sia su quelle, in questo caso, che avvengono in libreria) può aprire dibattiti molto utili per tutti, editori compresi.

Nel mio caso specifico la situazione è poi ancora più complessa perché oltre a svolgere il mio mestiere di libraia e di formatrice, mi occupo quasi quotidianamente per Scuola Radice di progettazione didattica, ovvero studio gli argomenti, i tempi e i modi con cui le varie discipline verranno settimanalmente presentate ai miei alunni. Che Scuola Radice sia un’esperienza di educazione parentale e non una scuola statale non credo faccia in questo caso nessuna differenza: a Scuola Radice ci sono due classi di 18 e di 14 bambini non speciali, non privilegiati…ma bambini come ce ne sono in tutte le classi d’Italia, con le loro difficoltà di apprendimento e con i loro talenti,  che devono arrivare alla fine del percorso scolastico adeguatamente preparati.

Posso anche dire che se mi interrogo sul rapporto tra albi e didattica non è per ridurre la riflessione ad una questione strumentale. Non voglio in nessun modo sminuire la complessità che si può creare in classe mentre si lavora su un libro. Al contrario: vorrei dare maggiore valore e rilievo a quella complessità (nel prossimo articolo parlerò proprio di questo). Per farlo credo che partire da un approfondimento sulle parole con cui le insegnanti descrivono il loro modo di approcciarsi al libro sia importante. Si può leggere e basta, per sostenere e avvalorare la complessità di un libro e di un percorso didattico? Se sì, come? Quanto il solo leggere è sufficiente? Ed è sufficiente per cosa? Quanto la declinazione didattica potrebbe nel tempo annullare il piacere della lettura? Che tipo di lettore si costruisce attraverso l’uso dell’albo? Quando l’albo è uno strumento necessario?

E qui si arriva alla seconda questione che Antonella Capetti pone nell’intervista a Maria Polita: quella sul verbo usare. Come ho già avuto modo di dire negli articoli che precedono questo, è indubbio che il libro contempli, tra le sue caratteristiche, anche quella di strumento.

Jessie Willcox Smith
Il punto della questione a mio avviso non è quello di negare il verbo usare, ma di indagarlo a fondo per capire se diventa, in ambito scolastico,  più importante del verbo leggere e perché.

Non posso dire che non ci sia in questo momento una dicotomia potente tra questi due approcci, perché di fatto la dicotomia esiste e la percepisco ogni giorno parlando con le maestre, sia durante le mie formazioni che in libreria: il verbo leggere non è mai davvero compreso e non è mai sufficiente di per se stesso.
Non desidero quindi concludere oggi questa riflessione dicendo che in medio stat virtus.

Prima di arrivare ad un compromesso occorra andare più a fondo, che sia necessario capire davvero cosa può portare la semplice lettura di un libro e in cosa si trasformi invece un libro quando decidiamo di usarlo come strumento didattico.

E’ importante, proprio adesso, indagare come inizi a cambiare la percezione del lettore, bambino e adulto, mano a mano che le pratiche della scuola si dilatano nel quotidiano (se si pensa a quale influenza abbiano avuto le scelte editoriali della scuola dell’infanzia sulle librerie domestiche, non ci si può non chiedere come evolverà lo sguardo del bambino e dell’adulto con l’introduzione dell’albo illustrato in età scolare). Ed è altrettanto rilevante indagare come cambi la percezione dell’insegnante, e che posto prenda l’albo illustrato nel suo sistema valoriale, specialmente se è un insegnante con pochi strumenti critici già in partenza.
Magari scopriremo che gli albi illustrati sono concepiti come strumenti didattici soprattutto dalle case editrici (leggere le sinossi delle novità presentate nei vari cataloghi è molto significativo), e che prenderne atto vorrà dire interrogarci su cosa significhi per l’adulto leggere, specie quando incoraggia un bambino o un ragazzo a prendere in mano un libro. La lettura serve per imparare a stare meglio con noi stessi e con gli altri? Serve per capire meglio le cose? Serve per crescere più empatici, aperti e disponibili? Serve per comprendere la storia, la grammatica, la sintassi?

E non si tratta in nessun modo di voler negare ad un insegnante uno strumento di lavoro, ma al contrario di incoraggiarla, attraverso queste riflessioni, a prendere fiducia nel suo metodo d’insegnamento, nei suoi bambini e nelle storie.

Si tratta di invitarla a non fermarsi al primo gradino, di continuare ad interrogarsi, e noi con lei, su cosa sia la letteratura; si tratta di abbandonare ad un certo punto questa riflessione tra leggere e usare per addentrarsi in orizzonti di più largo respiro che riguardano l’infanzia, la percezione visiva, il suono delle parole, le radici delle storie.

Per concludere: queste mie riflessioni non si pongono l’obbiettivo di decretare se sia giusto o meno usare l’albo illustrato, ma di indagare in modo problematico una pratica sempre più diffusa che rischia di diventare a-critica specie in un momento storico come il nostro dove la scuola rivela un grande vuoto narrativo, di fascinazione e di competenze.
Spero quindi che anche le maestre sostenitrici dell’uso dell’albo illustrato possano trovare in questi articoli non una critica al loro lavoro o alla loro buona volontà, ma spunti di riflessione e di indagine interessanti per continuare ad interrogarsi sul proprio difficile e delicatissimo mestiere.

 

 


* l’introduzione del libro a scuola varia da comune a comune (scuole statali, comunali, private) e da regione a regione, ma in linea di massima possiamo dire che il libro (non necessariamente di qualità) è presente in ogni scuola dell’infanzia a partire dalla fine degli anni 70.

* a proposito di linguaggio: mi trovo a dover accompagnare la parola lettura all’aggettivo semplice come se lettura e basta non fosse sufficiente a sottolineare che è solo la proposta di una storia letta ad alta voce. Sarebbe quindi interessante chiedersi cosa intendiamo per lettura e quanto tutta una serie di fattori circostanziali entrino in automatico nel nostro immaginario.

* stima rilevata su più di 500 questionari distribuiti durante i mie seminari e durante i corsi di formazione.

 

2 pensieri su “Leggere o usare a scuola

  1. Molto interessanti le sue riflessioni
    Sono una docente di primaria che legge gli albi illustrati quotidianamente e li ho usati per l’apprendimento della scrittura
    Non amo i libri e insussidiari e nella mia pratica ormai
    , andrò in pensione l’anno prossimo, i libri e gli albi sono stati e sono materiali di lavoro. Usata sua riflessione mi ha molto incuriosita
    Ci penserò ancora
    Grazie
    Annalisa Penzo

    1. Gentile Annalisa,
      grazie per il suo commento. Questo articolo avrebbe bisogno di ulteriori specifiche perchè le sfumtaure che intercorrono tra “leggere” e “usare” sono molte e complesse. Spero di avere il tempo in futuro di poter approfondire ulteriormente il mio pensiero. Un caro saluto

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